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calcio a parole

La scomparsa delle mani davanti alla bocca nei campi di calcio

Bernardo Cianfrocca

I tempi della privacy dall'invasione delle telecamere e dagli esperti di lettura del labiale sono finiti. Ora calciatori e allenatori hanno smesso con il velo che ovatta ciò che si grida in campo

Cassano ne fu il precursore. Forse già ai tempi di Capello con la Roma, di sicuro alla Sampdoria con Mazzarri. L'allenatore toscano anni dopo rivendicò la paternità del gesto, come lo sdoganamento della difesa a tre. La mano davanti alla bocca sembrava essere diventata un espediente caro a tutti, giocatori e allenatori. La precauzione più semplice ma efficace, una difesa della privacy dall'invasione delle telecamere e dagli esperti di lettura del labiale. Niente squalifiche, nessuna polemica per qualche parola sopra le righe.

Una prassi che si è estesa anche all'estero e in più situazioni, tra compagni di squadra prima di battere un calcio di punizione o per comunicare novità tattiche senza il rischio di essere beccati dagli avversari. Simbolo di maleducazione nella vita di tutti i giorni, di intelligenza nella zona franca del campo. Ora, però, la stanno abbassando tutti.

Antonio Conte e Lautaro Martinez non hanno avuto problemi nel mostrarsi a vicenda, e al mondo intero, quello che pensano l'uno dell'altro. Scorie risalenti alla loro esperienza insieme: tutti hanno ricordato il litigio in Inter-Roma, stagione 2020/2021, a campionato già vinto. Non un caso che fosse il periodo degli stadi vuoti causa pandemia, quando l'assenza di pubblico aveva tolto ogni filtro tra le urla in partita e quello che si poteva sentire da casa. Nelle ultime settimane sembra sia stato squarciato di nuovo quel velo che ovatta ciò che si grida in campo. Dal Maradona al Bernabeu. Nello stesso weekend Dani Carvajal, finito e vinto il Clasico, ha preso a male parole Lamine Yamal, accusandolo di parlare troppo e dando vita alle escandescenze finali. Forse, in altri tempi, da compagno di nazionale più maturo, sarebbe andato vicino a sussurrargli all'orecchio come comportarsi meglio.

Qualche settimana fa, nel corso di Juventus-Milan, avevano fatto sorridere e discutere le frasi e le reazioni live di Massimiliano Allegri: “Rafa, non mi far incazzare”, raccomandazione a Rafael Leão prima del suo ingresso in campo. Inascoltata, visto che dopo le occasioni fallite era esploso dicendo: “Ora nello spogliatoio non fiata nessuno”. Gli allenatori sono i più esposti e vulnerabili, i più vicini alle telecamere, ai giornalisti e troppo presi dalla tensione per pensare di coprirsi ogni volta che sentono il bisogno di sfogarsi. O forse, semplicemente, non avvertono questa necessità. Meglio farsi capire e andare dritti al punto.

Un'esigenza di chiarezza che pervade i protagonisti anche davanti ai microfoni. Conferenze stampa e interviste post-partita come veri momenti rivelatori e non più pratiche da sbrigare per burocrazia. Dopo Cremonese-Atalanta, Carnesecchi era stato chiaro: “Dobbiamo darci tutti una svegliata, me compreso”. Il suo allenatore Juric non ha gradito: “Deve parare e parlare molto di meno”. Nello stesso giorno Gasperini si era espresso così su Ferguson: “Non sta dando risposte positive in campo, solo ieri gli ho visto fare il primo allenamento giusto”. Se in campo abbondano gli 0-0, fuori non si tergiversa. Se qualche caduta di stile è il prezzo da pagare per avere più verità e sentimenti, ben vengano. L'importante, come si insegna da piccoli, è tenere le mani in tasca e non davanti alla bocca.

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