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chiave di A - come suona il campionato

La Serie A si è ammalata di Var

Enrico Veronese

Aumenta il peso che la classe arbitrale ha nel determinare le sorti del campionato. Intanto il Napoli è tornato al comando della classifica assieme alla Roma di Gasperini

Parlare di Napoli-Inter, ma anche di Fiorentina-Bologna e Milan-Pisa tra le altre, significa ancora una volta dover riconoscere il peso che la classe arbitrale ha nel determinare le sorti del campionato di Serie A. Senza voler accusare nessuno, è evidente che qualcosa non va se per la seconda settimana consecutiva le decisioni dei giudici di gara vengono platealmente ricusate l’indomani dal loro stesso sistema di gestione, che si esprime tramite punizioni, retrocessioni, stop forzati. In realtà, come nella migliore tradizione, il capro espiatorio ci sarebbe: il proverbio recita “la spia è peggio del ladro”, la versione calcistica anni Venti può ben essere traslata al concetto “il Var è peggio dell’arbitro”, se non altro perché ha possibilità infinite di visione, giudizio, indirizzo. E dovrebbe rifuggire scientificamente i peggiori sospetti complottisti di compensazione incrociata tra Milano e Toscana, visto che già la massima resa celebre da Giulio Andreotti invita le masse tifose a peccare più della pirateria.

   

    
 

Ciononostante, dover dipendere dalle paturnie della tecnologia non annulla la pregnanza del fatto sportivo in sé. Un ordinario fine settimana dove c’è sempre qualche grande che incespica, altre che vincono risicando, onesti comprimari alla ribalta e il Napoli che in qualche modo rimette a posto le cose dopo il naufragio di Eindhoven. E non poteva che farlo alla britannica, per nascita - il redivivo Scott McTominay - o formazione calcistica, leggi Kevin de Bruyne: sotto il Vesuvio tornano a cantare “Yes I know my way”, e più di tutti lo sa Antonio Conte, come trovare il filo per tornare a vincere (Siente fa' accussì / nun dà retta a nisciuno / fatte 'e fatte tuoie).

   

  

Mica facile, peraltro, se il meglio sta in difesa e se serve tutta la garra disponibile per venire a capo di un’avversaria a lei più simile di quel che si pensi: il fotogramma della partita non sta nel lancio di Leonardo Spinazzola per lo scozzese, o nella trazione decisiva di André-Frank Zambo Anguissa, bensì nello scambio verbale tra i wild boys Conte e Lautaro Martínez. “C’eravamo tanto amati”, ai tempi della Lu-La, per non mandarci al diavolo a colpi di basso registro: ed è subito meme.

   

   
 

Se gli azzurri ancora non possono dire di dominare il campionato di nuovo, è merito della cangiante Roma di Gian Piero Gasperini, che li appaia in classifica: come da tempo piace ribadire, i piedini magici di Paulo Dybala sono un valore assoluto imprescindibile al centro dell’attacco, là dove la consuetudine ormai vuole schierati solo marc’antoni e marc’aureli. E ogni volta che succede (cioè spesso, ma appunto non sempre), il pensiero vola a quale carriera avrebbe potuto avere l’incompiuto argentino, ove fosse stato assistito da una salute agonistica all’altezza: si è fatto amare a Palermo, a Torino, in Nazionale dove ha trovato davanti i rivali più agguerriti della sua generazione, ma forse mai come a Roma è stato vero deus ex machina, fabbro della sua e altrui fortuna, rimpianto quando manca e pure quando c’è. All’ora in cui smetterà, la fiction relativa ai suoi esordi selvaggi potrebbe mutuare “Il ragazzo” di un lontano Francesco de Gregori: “Cresce sempre solo, e non si sente solo mai / ha una voglia strana in fondo al cuore, che nemmeno lui lo sa / se sia paura oppure libertà”.

   

    

Là dove il suo ex partner d’attacco Álvaro Morata fatica a rientrare da un fuorigioco, e pare incamminato verso un precoce viale del tramonto che la sua storia ed efficacia non meritano, l’ordinary world premia ancora una volta la vita da mediano dell’ordinary man.

  

   

Jesper Karlstrom è l’insostituibile di Kosta Runjaić, la versione aggiornata e performante di Walace, il titolare “a 1” ideale per ogni fantallenatore. E proprio quando il suo tecnico lo magnifica nella conferenza stampa del prepartita, lui risponde presente con gol, peraltro di pregevole fattura. La sua classe operaia va in paradiso per una settimana (“A life less ordinary”, colonna sonora degli Ash), prima di tornare a far girare la squadra in silenzio: con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi.

  

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