FOTO ANSA

il foglio sportivo

Agostini innamorato pazzo della moto

Umberto Zapelloni

“Non l’ho mai tradita, ma quando mi chiamò Ferrari non ho dormito per tre giorni”. L’aritmetica parla di 123 vittorie e 162 podi in 190 gare del Motomondiale, il segreto? "Devi avere un dono che ti dà madre natura, poi l'attenzione e la precisione"

Io sono nato con la moto in testa. Quando ho cominciato a pensare, pensavo alla moto. Non so perché, nessuno in famiglia aveva quell’attrazione”. Giacomo Agostini è ancora innamorato pazzo della moto. Gli anni passano, ma lui resta fedele a quelle due ruote che gli hanno dato tutto nella vita. La libertà, la velocità, le vittorie, la gloria: l’eternità. “Io volevo correre, solo correre, fare le curve, essere veloce. Non mi interessava salire in moto per viaggiare, io mi accontentavo di dare una sgasata, mi bastava quello per scaricarmi, per essere felice”. A più di 80 anni, Agostini si è messo a guardare un cantiere, ma la differenza tra lui e un pensionato qualsiasi è che quello è il cantiere del suo nuovo museo e non poteva chiamarsi che Casa Vittoria. E soprattutto che Ago ci lavora notte e giorno quando non è in giro per il mondo. Diventerà quattro volte più grande per accogliere tutti i suoi ricordi, cominciando dall’Aquilotto della Guzzi, la sua prima moto, da cui non si è mai separato. Ago ha deciso di raccontarsi in una nuova autobiografia, meno sportiva, più personale. “Ago una vita da campione”, scritta con Raffaele Sala e pubblicata da Rizzoli. 


Un libro che comincia con una frase che dice tutto: “Penso di aver sempre voluto la moto”. Agostini, diventato Ago per gli inglesi che non riuscivano a pronunciare bene il suo cognome è un ragazzo degli anni Quaranta. Non erano anni in cui la moto invadeva la tv, i giornali o le pubblicità. Come gli sia venuta quella voglia resta un mistero: “Mio padre guardando mia madre le diceva: ma da dove è uscito questo? Neppure lui riusciva a spiegarselo”. Papà aveva anche cercato di ostacolarlo, di portarlo sulle quattro ruote: “Quando presi la patente mi regalò una Giulietta Sprint… Ero meravigliato e dico, Madonna, ma che regalo mi fa mio padre? Poi dopo poco tempo ho capito, me l’aveva regalata perché pensava di togliermi le moto dalla testa. Perché all'epoca le piste erano pericolose, le strade pure. C’erano un sacco di incidenti... Ha fatto di tutto per farmi passare l’innamoramento, ma niente”. 


Qualche anno più tardi ci ha provato un altro grande vecchio, Enzo Ferrari. Gli fece provare una delle sue macchine e poi gli fece un’offerta di quelle a cui era difficile dire di no. “Non ho dormito per tre o quattro giorni pensando a quella proposta, perché era davvero incredibile. Poi però mi sono detto: sono nato con quale amore? Con l'amore per le due ruote. E allora perché devo tradirle. Ho deciso di restare con il mio amore. Ferrari ci è rimasto un po’ male, poi però ha capito che non avevo voluto tradire ciò che Dio mi aveva dato. E io non mi sono mai pentito di quella scelta”. Per capire basta vedere i 15 titoli Mondiali, i 364 trofei tra i quali i 10 vinti al Tourist Trophy e soprattutto guardare come gli brillano gli occhi quando può parlare di moto. “Nella mia vita ne ho avute tre che mi hanno dato la gioia: la Morini, la MV Agusta e la Yamaha. È difficile scegliere anche se la MV è quella con cui ho vinto di più, quella che mi ha fatto conoscere in tutto il mondo”. Dici MV e pensi ad Agostini, dici Agostini e pensi alla MV. Il conte Agusta ed Enzo Ferrari, due uomini fuori dall’ordinario, due uomini che Agostini ha conosciuto bene: “Due persone molto serie, due padroni. Doveva essere chiaro: loro erano padroni, erano autoritari, noi eravamo dipendenti. Però avevano anche una grande testa e una grande sensibilità”. Di tutt’altra pasta i fratelli Castiglioni, compagni di viaggio di un’altra epoca: “Loro erano più amici, più famiglia. Come col commendator Morini quando ho iniziato. Lui mi faceva sentire a casa, mi invitava a cena, non c’era un rapporto così autoritario”.


L’aritmetica parla di 123 vittorie e 162 podi in 190 gare del Motomondiale. “Ricordarmele tutte è difficile, però rammento la grande gioia di quando ho vinto con la mia moto privata battendo le ufficiali e poi quando ho vinto il primo titolo mondiale a Monza davanti al mio pubblico. C’erano 140.000 persone che mi applaudivano...”. Quel titolo fu il primo di 15, otto in 500 e sette in 350 perché ai suoi tempi si divideva in due classi: “C’erano delle volte che ero sul podio dopo aver vinto la 350 e vedevo che i meccanici spingevano la moto alla partenza per la 500… Mi ricordo una gara in Austria che ero bagnato fradicio, non avevo più tute né stivali né calze da cambiare perché ormai erano tre giorni che pioveva e non c'era più nulla di asciutto. Mica come oggi che c’è una macchina che asciuga la tuta. Dovevo scendere dal podio per presentarmi alla partenza, ma sono passato dai miei meccanici che al paddock avevano preparato una bacinella di acqua calda. Ho messo i due piedi nella bacinella, mi sono fatto prestare le calze asciutte da un meccanico e poi però ho dovuto rimettere stivali e tuta bagnati per ripartire. Però era quello che volevo, mi piaceva anche se era una fatica sia fisica che mentale. Partivo che tremavo dal freddo, ma ero felice”. Ora qualche genio di Liberty Media (che ha comprato la MotoGp) vorrebbe contare solo i Mondiali della classe regina: “Ma non esiste, sarebbe come cancellarti una laurea. Lo vadano a dire a Nieto che ha vinto 13 mondiali tra 50 e 125 che non esiste più”. Devono solo provarci. “Oggi c’è troppa elettronica sulle moto, non mi piace. Le gare sono ancora belle, ma io darei più responsabilità ai piloti. Oggi le moto sembrano aeroplani, hanno anche le ali, si alzano e si abbassano… E poi la storia della pressione delle gomme. Ti fanno rischiare la vita, poi ti squalificano… Oggi cadono tanto, ma non si fanno quasi mai male, ai miei tempi morivano in cinque. Le tute hanno fatto un progresso pazzesco, le piste pure. “A me piaceva correre al Tourist Trophy all’Isola di Man. Quella è la gara più dura, la gara che ti dà più gioia, però purtroppo è anche quella in cui puoi morire facilmente”. La paura non lo ha mai sfiorato: “Pensavo sempre: tanto a me non succede. Speravo non succedesse a me”. Non è successo. 


Ma Agostini aveva un segreto? “Innanzitutto devi avere un dono che ti dà madre natura, questa è la cosa più importante per tutti. Poi ci aggiungo la mia attenzione, la mia precisione. La mia moto era sempre perfetta perché avevo una sensibilità particolare, capivo velocemente che cosa cambiare”. La cura del dettaglio, una cosa che non lo ha mai abbandonato. Fuori e dentro la pista. “Ho avuto tante fidanzate, lo racconto anche nel libro, ma mai la sera prima di una gara. Mi è capitato una volta, ma poi mi sono dato dello stupido. Dovevo restare concentrato, sempre. Il divertimento c’era la domenica sera… Non mi sono sposato fino a che non mi sono ritirato. Non potevo pensare di avere dei figli, salutarli alla partenza e poi magari non tornare più. Lo diceva anche Ferrari che i figli rallentavano…”. E una volta smesso ha trovato Maria che 37 anni dopo è ancora qui accanto a lui. Oltre che della moto alla fine si è innamorato anche di lei.

Di più su questi argomenti: