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No, Sinner che rinuncia alla Davis non è uno "schiaffo all'Italia"
Dovremmo dirgli grazie per i due trofei a squadre consecutivi, che rimarranno nella storia, non essere presi dalla bulimia di vittorie. Ecco perché la scelta del numero due al mondo è tutt'altro che un tradimento della patria, come dice Pietrangeli
Una "scelta incomprensibile, uno schiaffo al paese" (copyright Nicola Pientrangeli). Ma anche "il gran rifiuto". O ancora, "Italia, no grazie". Da qualche ora Jannik Sinner, rinunciando alla convocazione in Coppa Davis, ha mandato in cortocircuito il giornalismo e l'opinione pubblica italiana. Perché? Beh, semplicemente la rinuncia è arrivata a poche ore dalla vittoria dei famosi sei milioni di euro al Six Kings Slam di Riad, in Arabia Saudita. E allora giù di editoriali dal tenore: "Vergogna, pensi solo a te stesso". "Non sei un vero italiano". E meno male, verrebbe da dire.
"E' stata una scelta difficile", ha premesso il numero due al mondo spiegando il no alla convocazione. "Ho vinto la Coppa Davis due volte, e questo ha avuto il suo peso. Io e il mio team abbiamo preso questa decisione perché la stagione, alla fine dell'anno, è piuttosto lunga e ho bisogno di una pausa extra per iniziare prima la preparazione". Negli ultimi due anni, ha spiegato Sinner, quella settimana-dieci giorni in meno hanno influito sul lavoro che si fa prima dell'inizio della nuova stagione. E va bene che in entrambi i casi poi, in Australia, lo slam lo abbia vinto. Ma ci possiamo per una buona volta fidare di chi la propria condizione la conosce meglio di chiunque altro? E che nella sua testa ambisce a migliorare i lati del suo gioco che ancora lo distanziano da Carlitos Alcaraz? No, a dire dei commentatori italiani. Secondo cui "che vuoi che siano tre partite in azzurro!".
Chi conosce la storia recente della Davis sa che spesse volte l'hanno saltata sia Roger Federer, che Rafa Nadal e Novak Djokovic, persino nel bel mezzo della loro carriera. E in nessuno di questi casi è mai stata lesa maestà. Lo stesso Carlos Alcaraz, ora usato come metro di paragone della rettitudine morale, in realtà in più occasioni ha detto no alla competizione a squadre. Per esempio, lo scorso settembre, dopo gli Us Open, con la Spagna che si giocava la fase preliminare, il numero uno al mondo spiegò: "Mi dispiace molto, ma ho affrontato una tournée esigente, sia dal punto di vista fisico che mentale, con tantissime partite e non ho il tempo per tornare a casa e prepararmi al meglio per la Coppa Davis. Ho bisogno di riposare per affrontare al meglio quello che resta della stagione". Si dirà: ma in questo caso l'Italia gioca in casa, a Bologna, ospitando la fase finale non è dovuta passare dalle qualificazioni. Suvvia, uno sforzo lo si poteva pur fare. Eppure Sinner, nel corso di questi anni, ha sempre dimostrato di fare delle scelte ragionate al centimetro, sapendo esattamente quali potevano essere i possibili effetti. Sono le scelte che gli hanno fatto vincere quattro slam, con cinque finali major consecutive. E che hanno fatto vincere all'Italia due Davis di fila, un unicum nella storia del nostro tennis (e un qualcosa che nel frattempo Alcaraz non ha vinto, da qui l'incentivo a partecipare alla fase finale quest'anno).
Senza Sinner non sarebbe accaduto, ovvio, ma ora tutti quelli che lo mettono sul banco degli imputati perché (legittimamente) va a guadagnare soldi in giro per il mondo se lo dimenticano con troppa leggerezza. Non nel nostro nome.

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