
Guido Vianello, 31 anni compiuti il 9 maggio, è diventato campione Wbc Continental America battendo Barriere a Philadelphia (foto Bozzani)
Il foglio sportivo
Il gladiatore adesso sogna il Colosseo
Guido Vianello, tennista mancato, potrebbe regalare all’Italia il sogno irrealizzato di cui si parla da mezzo secolo: un match all’interno dell'arena romana. Si è ispirato a Rocky e Sinner: “Ho avuto la forza di risorgere ripartendo da zero”
Prima il ko che gli ha spianato la strada mondiale dei pesi massimi sul prestigioso ring di Philadelphia, poi la pergamena della laurea in Scienze Politiche ritirata alla Luiss di Roma. È stata la settimana che ha cambiato la vita di Guido Vianello, “Gladiatore” di nome e di fatto (2 metri per 112 chili), che combatte per rilanciare tutto il pugilato italiano, in caduta libera. A 31 anni il pugile romano, tennista mancato, ha riallacciato i fili di una carriera che ha vissuto alti e bassi, ma potrebbe regalare all’Italia il sogno irrealizzato di cui si parla da mezzo secolo: un match all’interno del Colosseo. Una possibile semifinale mondiale nell’arena romana sarebbe d’altronde nel destino del suo ruolo di moderno “Gladiator” e Vianello ne ha parlato ai microfoni internazionali di Dazn subito dopo lo spettacolare ko con cui al quinto round ha mandato a gambe all’aria il temutissimo e imbattuto canadese Alexis Barriere, favorito dai bookmakers.
Allora Guido, si è ispirato a Rocky Balboa, di cui ha visitato l’installazione alla vigilia, o a Joe Frazier, leggenda vera dei massimi a cui Philadelphia ha dedicato un’altra statua in bronzo?
“Ammiro anche Smoking Joe ma nel mio tour di Philadelphia, prima dell’incontro che valeva tutta una carriera, ho seguito le orme di Sylvester Stallone. Ho girato i quartieri decadenti in una città che non mi aspettavo così decadente: attorno alla casa di Rocky, trasformata in un pub, ho visto tanti senzatetto devastati dalle droghe. Poi ho scoperto la Philadelphia ‘italiana’: pensate che nel mio albergo c’era una pattuglia della Marina Militare in tour di rappresentanza che prima del match mi ha incitato con cori e inni e dopo mi ha ricevuto sulla nave dove ho portato in mostra la cintura di campione continentale americano Wbc”.
Come è nata la svolta, dopo le tre sconfitte che rischiavano di chiudere anzitempo il suo rapporto con l’America? Le prime due ingiuste, ma contro Torrez lo scorso aprile avevamo visto veramente l’ombra di Vianello?
“Mi ero illuso di aver già svoltato quando avevo battuto un anno fa il monumentale russo Makhmudov, invece la sconfitta col californiano mi ha riportato sulla terra. Ho perso l’occasione di entrare fra i grandi perché avevo smarrito il centro di me stesso. Come Rocky ho avuto la forza di risorgere. Sono ripartito da zero, da quel 5 aprile non ho fatto un solo giorno di vacanza, neanche a Ferragosto. Sono tornato a Roma e ho detto al mio maestro Simone D’Alessandri: ‘Ora uccidimi di allenamenti’. Io mi sono annullato come un cane in cattività, una punizione che mi sono auto inflitto per aver sbagliato soprattutto mentalmente a gestire il match con Torrez. Mi sono tolto ogni potere decisionale, gli altri erano sopra di me e dicevano quello che dovevo fare. Ho allargato anche il team in cui sono entrati un mental coach, il preparatore atletico Riccardo Zannoni e il cutman Federico Catizone”:
Però sul ring dopo il match ha ringraziato soprattutto Giovanni De Carolis, ultimo italiano a detenere un Mondiale vero e neodirettore tecnico della Nazionale, che abbiamo visto un po’ a sorpresa al suo angolo a Philadelphia. Come è nata questa scelta?
“Giovanni lo conosco da 15 anni, a Roma ci siamo incrociati spesso. Dopo la sconfitta con Torrez mio padre Fabrizio, che gestisce il prestigioso Tennis Club Vianello, ma ora è entrato anche nel mio staff pugilistico, mi ha detto: ‘Visto che lo conosci così bene e avete un carattere simile, perché non ti fai aiutare anche da Giovanni?’. Non poteva esserci mossa più azzeccata, De Carolis è una enciclopedia vivente del pugilato, mi ha raggiunto a Philadelphia e mi ha dato consigli preziosi. Grazie all’angolo ho evitato l’errore di scompormi, come era successo con Ajagba”.
Basta sentir parlare lei e De Carolis per capire che la boxe ha cambiato faccia: non più degrado sociale, ma anche cultura e proprietà di linguaggio. Potreste partecipare a dei salotti televisivi.
“Ora sono concentrato sulla mia prima carriera. Quando smetterò, mi piacerebbe calcare altri palcoscenici, con la mia stazza potrei sorprendere. E grazie a Sinner, così riflessivo e pacato, ho fatto pace anche col tennis che prima odiavo”.
Il campione mondiale Oleksandr Usyk forse è irraggiungibile, ma il mondo dei massimi non parla d’altro che di questo match con l’ex campione decaduto Anthony Joshua al Colosseo…
“So che è difficile, ma io ci credo. Come detentore del titolo Continental America e con la mia nuova classifica il Wbc è pronto a darmi una chanche importante, probabilmente una semifinale al Mondiale. A Philadelphia ne ho parlato col promoter Eddie Hearn e potremmo agganciarci al vecchio progetto degli arabi per combattere al Colosseo, ovviamente con opportuni agganci italiani. Io comunque sono tornato subito in allenamento a Roma in vista di un match in America o a Riyad a fine anno o a inizio 2026. So che il grande Bob Arum, il promoter che mi ha adottato in America, non ha mai perso la fiducia: dove lo trova un altro Gladiatore come me?”.


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