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Il foglio sportivo
Il miracolo Mjällby, la squadra del villaggio, campione di Svezia
Il club che sta per vincere lo scudetto è quello di Hällevik, un villaggio di pescatori di poco più di ottocento anime. Il calcio compie miracoli che nessuno può spiegare, nemmeno la scienza, e produce storie che nemmeno gli analisti del pallone potranno spiegare mai
Certo, la Nazionale di Capo Verde è ai Mondiali e forse arriveranno altre sorprese di realtà molto piccole in una manifestazione molto grande. Ma questo è partecipare, spirito nobile degli sportivi e favola piacevole da raccontare: quella del calcio che sorprende ancora, anche in mano ad avidi tecnocrati, e scrive continuamente storie impensabili. Vincere, invece, è un po’ diverso, è oltre la fantasia del pallone: è proprio Davide che emerge, in un mondo a misura di Golia, ed è quello che sta facendo il Mjällby, nel campionato svedese. Primo passo necessario, la classifica: è la squadra prima in classifica nell’Allsvenskan (la prima divisione della Svezia), undici punti sopra la seconda con ancora quattro giornate da giocare. Sarà incoronata questo fine settimana, al più tardi il prossimo. Secondo passo necessario, che squadra è il Mjällby: qui comincia la storia da narrare, senza aggiungere fronzoli perché già la realtà basta.
Il club che sta per vincere lo scudetto di Svezia è quello di Hällevik, un villaggio di pescatori di poco più di ottocento anime. Dicono i protagonisti che per arrivare allo stadio bisogna superare un campeggio, il museo della pesca, un paio di ristoranti e, poi, “quando non puoi più guidare vuol dire che ci sei, siamo lì”. Lì dentro si trovano un direttore sportivo che per tre anni si è mantenuto con la fattoria di famiglia e ha lavorato senza stipendio, un allenatore che anni fa aveva smesso per intraprendere prima una carriera nell’esercito e poi come preside, un vice allenatore che non aveva alcuna esperienza prima e che fa fruttare il suo dottorato di ricerca in percezione visiva. Se, invece, cercate il responsabile dello scouting, sappiate che abita a sei ore di macchina da lì, lavora da remoto e dalle 6.30 alle 15 lavora come postino.
Si vince anche così, mettendo insieme storie singolari, senso di appartenenza e tantissime idee. Perché il Mjällby non è arrivato in cima grazie a un riccone annoiato che voleva spendere un po’ di soldi, nemmeno per l’intervento di un fondo sovrano (tanto più che in Svezia la proprietà dei club è mista e comprende anche i tifosi) e nemmeno come satellite di una multiproprietà: ha proprio costruito tutto quasi senza denaro (solo due squadre hanno un monte ingaggi inferiore), progettando un passo per volta da quando, nove anni fa, nella terza divisione nazionale ottenne la salvezza solo vincendo l’ultima partita fino agli ultimi sei anni, nei quali da laggiù ha preso l’ascensore fino a condurre questo campionato senza prestarsi a equivoci.
Se qualcuno merita lo scudetto, ecco chi. Nel campionato in cui di solito primeggiano il Malmö (ventiquattro titoli all’attivo, ora ventuno punti di distacco) o l’Ifk Göteborg (diciotto vittorie, ora diciannove punti sotto la vetta), sta vincendo la squadra che nove anni fa nominò come presidente Magnus Emeus, un lavoro nel settore della logistica prima del calcio, e gli chiese soprattutto di salvarla dalla bancarotta per non sparire. Emeus, negli anni, ha sfidato l’etichetta di avaro, ma non aveva altra strada: il ritiro prepartita della squadra non lo organizzava più in albergo, ma in campeggio e altre forme di risparmio necessarie per stabilizzare i conti hanno permesso, quando poi sono arrivate alcune cessioni che hanno permesso di monetizzare, di costruire poi la squadra che ora sta sorprendendo una nazione intera e che, a pochi metri dal mar Baltico, ha uno stadio di 6.500 persone (otto volte la popolazione di Hällevik) sempre pieno.
A costruire la squadra ci pensa Hasse Larsson, un’istituzione della squadra come direttore sportivo, a guidarla Anders Torstensson, che non pensava nemmeno più di fare una carriera da allenatore. Il primo ha superato un tumore al cervello e uno alla prostata, al secondo ad agosto hanno diagnosticato una leucemia linfatica cronica, in una forma però non aggressiva che gli ha permesso di abbozzare un sorriso: “Dicono che non si muore di lei, si muore con lei. Quindi per ora posso vivere come al solito”. Che poi, in realtà, questo è vivere meglio del solito, perché il calcio compie miracoli che nessuno può spiegare, nemmeno la scienza. E produce storie che nemmeno gli analisti del pallone potranno spiegare mai: per nessun motivo, infatti, una squadra di un villaggio così piccolo può vincere uno scudetto. Eppure, eccola.