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Il foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Gennaro Gattuso e quel che resta dell'Azzurro

Alessandro Bonan

La Nazionale ha un grande portiere, eccellenti difensori e centrocampisti, buonissimi attaccanti, ma gli manca l’acciarino che produca la scintilla. Il nuovo ct dovrebbe giocarsi una carta nuova, ma questa carta nel mazzo non esiste

Quello che resta della Nazionale è un cumulo di pensieri, alcuni belli, altri un po’ foschi, alcuni asciutti e altri bagnati. Tra i belli, la sensazione di aver azzeccato il ct. Gattuso è un uomo pratico ma più sofisticato di quello che ci restituisce la sua immagine. Si presenta con modi spicci, ma dentro quei modi si piega, come rannicchiata in un angolo, la filosofia dell’uomo in transizione, dell’uomo come mezzo e non come fine. Per spiegarmi meglio, molto spesso il commissario tecnico di una Nazionale vive del culto di sé. È arrivato a occupare quel ruolo per meriti storici, con risultati raggiunti in una carriera più o meno lunga, e solo per questo si sente autorizzato a mettersi davanti al gruppo, organizzando una foto di famiglia dove l’allenatore faccia ombra al resto della squadra. 

 

Credo che l’errore di Spalletti sia stato esattamente questo: sentirsi sopra gli altri, superiore, forte in quanto migliore. Non è stata superbia la sua, Spalletti non pecca di superbia, ma un naturale scivolo di quello che gli era successo mesi prima a Napoli, dove ha conquistato uno scudetto per meriti essenzialmente personali. Quel grande risultato gli ha oscurato la vista e lo ha condotto a comportarsi con eccessiva padronanza in Nazionale, perdendo la fiacca necessaria a mettersi un po’ in dubbio, cercando la prudenza, il dialogo, la sostanza. 

 

Gattuso sta facendo il contrario, conoscendo il rischio che correva per via della sua immagine potente. Bene, ha pensato, se è così forte la mia immagine facciamola scolorire. Voglio diventare bianco e nero, come i miei capelli. E come un Aladino in monocromo, ha lucidato la lampada, facendo uscire un genio: la squadra tutta. Poi, con una certa conoscenza del calcio, ha messo in campo formazioni logiche e anche innovative, e il risultato ottenuto è stato buono, senza dire ottimo. Perché tra le cose fosche, rimane una certa povertà di talento di cui però Gattuso non ha colpa. 

 

La Nazionale ha un grande portiere, eccellenti difensori e centrocampisti, buonissimi attaccanti, ma gli manca l’acciarino che produca la scintilla, il giocatore che sa come accendere una partita spenta, bloccata dalla tattica e da una difesa avversaria solida. Credo che il futuro della Nazionale dipenda dalla scoperta di un giocatore con queste caratteristiche. Mancini ci aveva provato prima con Zaniolo, perduto dentro se stesso, e poi con Pafundi, sparito oggi nel nulla (de Pafundis). Gattuso dovrebbe giocarsi una carta nuova, ma questa carta nel mazzo non esiste. Per questo piove ancora sui nostri pensieri azzurri, bagnati dall’abbondanza di mistero. Perché non si capisce come mai, finiti i Totti, i Baggio e i Del Piero, si sia rimasti da soli in balia dello straniero (rima voluta).

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