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Il Foglio sportivo

Milan-Napoli e quel raro faccia a faccia tra Allegri e Conte

Marco Gaetani

I due allenatori più vincenti d’Italia non si incontrano da dodici anni. Si ritroveranno di nuovo domenica sera, alla guida di due squadre che sognano lo scudetto

I primi paragoni hanno iniziato a circolare sotterranei, quando pareva oltraggioso anche soltanto avere il coraggio di pensarci. E se il Milan fosse il Napoli del 2025-26, si chiedeva qualcuno dopo aver visto il tracollo interno con la Cremonese, così simile a quello degli azzurri a Verona di un anno prima da legittimare quantomeno l’acrobazia mentale? In fin dei conti, i punti di contatto non mancavano: un nuovo tecnico dalla fortissima impronta vincente arrivato al capezzale di una squadra reduce da cambi di allenatori e di umore frequenti come battiti di ciglia; un nuovo direttore sportivo chiamato per mettere ordine; una squadra ancora incompleta, da ultimare nel rush finale del mercato; soprattutto, l’assenza delle coppe europee, seducente richiamo competitivo e al tempo stesso antipatico intralcio alla preparazione settimanale. E a voler esagerare nel confronto, un anno fa, alla quinta giornata, un Napoli in condizione di forma crescente si presentava al suo primo esame stagionale in casa dell’allora lanciata Juventus di Thiago Motta: ne uscì uno 0-0 di rara solidità, imperturbabile, con la prima recita di Scott McTominay da titolare, futuro Mvp del campionato.  


Cosa dobbiamo aspettarci, dunque, da questo Milan-Napoli che per la formazione di Massimiliano Allegri ha assunto i contorni, più che dell’esame di maturità, di un vero test di ingresso tra le pretendenti allo scudetto? Il faccia a faccia con Antonio Conte sarà intrigante. Si potrebbe immaginarla come una grande classica tra due degli allenatori più vincenti del nostro calcio, invece i precedenti in campionato sono solamente cinque (più tre in Coppa Italia), l’ultimo addirittura 12 anni fa: Juventus-Milan 3-2, i rossoneri che si arrendono al dominio juventino nonostante la doppietta di Sulley Muntari, il grande protagonista del precedente più celebre, quello in cui non finì sul tabellino dei marcatori soltanto per il famigerato pastrocchio di Paolo Tagliavento. Fa ancora più impressione scoprire che Allegri non vince dal primo incrocio: Cagliari-Atalanta 3-0, novembre 2009, Nené e Matri a mettere in crisi la difesa nerazzurra. 


Questo primissimo Napoli stagionale è parso leggermente meno blindato di quello che aveva concluso la stagione. Conte non può rinunciare ad Anguissa e per questo sta portando McTominay fuori dalla sua zona di comfort, perché pensare di lasciare in panchina un venerabile maestro come Kevin De Bruyne suonerebbe come una bestemmia in chiesa. E sarà senza alcun dubbio divertente vederlo alle prese con Luka Modric, arrivato in Serie A con l’entusiasmo di un ragazzino e l’allure del fuoriclasse senza tempo: dategli un pallone, un po’ di spazio e di tempo, e con l’esterno destro troverà il compagno di squadra libero sulla corsa anche tra vent’anni. Non sarà un acquisto futuribile, ma vivaddio, ogni tanto è ancora possibile rifarsi gli occhi ammirando la pura e semplice bellezza, senza dover pensare per forza alla prospettiva. Un confronto stimolante, quello con De Bruyne, che fin qui ha dispensato qualche grammo di talento senza però avere ancora dato l’impressione di avere la squadra in mano, mentre Modric sembra già il rifugio preferito dai compagni, il porto sicuro.

 

Hic et nunc, dunque, per Milan e Napoli. I rossoneri hanno trovato in Rabiot lo scudiero ideale per il croato, pretoriano di Allegri se ne esiste uno, lotta e governo nello stesso corpo: qualcuno, a Milanello, deve aver benedetto la rissa con Rowe che lo ha portato lontano da Marsiglia. Il Napoli viaggia invece a punteggio pieno, ma perde pezzi in difesa (ora è il turno di  Buongiorno, ma Rrahmani sta meglio) e spera di vedere a San Siro lo stesso Hojlund applaudito al Franchi: ma l’ex Atalanta ha bisogno di spazi ampi per fare male e l’impressione è che il Milan, quegli spazi, non abbia la minima intenzione di concederli. Proprio a San Siro, nella scorsa stagione, il Napoli mandò il primo segnale al campionato: ma era un’altra squadra, Lukaku ad aprire e Kvaratskhelia a chiudere, per motivi diversi non ci sarà nessuno dei due. È sempre più, in compenso, il Napoli di Conte, camaleontico, capace di nascondersi nelle pieghe della partita. Gli azzurri tendono a partire forte, a imporre la propria cifra fisica sulle partite: dal centravanti, che sia Hojlund o Lucca, fino ai vari McTominay, Anguissa, Beukema, per certi versi persino Politano, equilibratore infaticabile sulla fascia destra. Ma il Milan ha i corpi per rispondere: Rabiot, Fofana, Loftus-Cheek da calare a gara in corso e tre centrali difensivi che fanno della presenza, più che della lucidità nel corso dei novanta minuti, la loro caratteristica principale. Anche per questo Allegri ha fatto retromarcia, iniziando l’estate convinto del 4-3-3 salvo poi ripiegare su una conosciutissima coperta di Linus sotto forma di 3-5-2, per dare più sicurezza a tutta la squadra. 


Sullo scontro diretto aleggia poi un fantasma, perché questo Milan ha fatto benissimo senza il suo teorico giocatore di riferimento, Rafael Leão, e qualche maligno ne sottolinea l’assenza quasi a volerne sminuire il valore. Andrà presumibilmente in panchina, risorsa e riserva di lusso, perché non si può fare a meno di uno come Pulisic, uomo per tutte le stagioni, seconda punta, esterno, fantasista, presenza costante e minacciosa. La partita finirà a ridosso della mezzanotte, scoccherà il 29 settembre caro a Battisti e Mogol, il buio troverà Milan e Napoli vicine, nella pancia di San Siro. Chissà se saranno appaiate anche in classifica o se gli azzurri piazzeranno il primo tentativo di fuga di una stagione che si preannuncia lunghissima. 

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