Foto Epa, via Ansa

il foglio sportivo

E festa sia ai Mondiali di ciclismo in Ruanda, non solo per la sfida tra Pogacar e Evenepoel

Giovanni Battistuzzi

Sabato e domenica la prova in linea élite femminile e élite maschile. Non sarà solo la sfida tra Pauline Ferrand-Prévot e Demi Vollering e quella tra Tadej Pogacar e Remco Evenepoel: il circuito di Kigali può dare una mano ai guastafeste

Di questi Mondiali di ciclismo in Ruanda, a lungo, si è parlato più delle assenze che delle presenze. Quasi fosse di maggior interesse sapere chi in Africa non ci sarebbe andato per un motivo o per l’altro. La settimana iridata si era trasformata così in una rassegna di giustificazioni e di autoassoluzioni. C’è chi aveva ammesso che non sarebbe andato a Kigali perché il percorso era troppo duro, chi aveva sottolineato il rischio malaria, chi aveva assecondato la propria federazione nazionale che spiegava che non c’erano soldi a sufficienza  perché i viaggi per l’Africa costavano troppo. Poi, con uno sforzo di originalità, c’è chi ha spiegato la scelta di non partecipare con decine di altri perché.

 

E vabbé. Ce ne faremo una ragione delle ragioni altrui. Le abbiamo dimenticate durante le prove a cronometro, le ignoreremo soprattutto oggi e domani quando vedremo le prove in linea femminili e maschili della categoria élite, quella che una volta era la categoria professionisti.

 

Le ignoreremo perché tanto del meglio del ciclismo mondiale pedalerà sulle strade ruandesi. Soprattutto c’è quello che volevamo vedere, che speriamo di vedere: la sfida tra Pauline Ferrand-Prévot e Demi Vollering e quella tra Tadej Pogacar e Remco Evenepoel. La francese e lo sloveno vogliono ripetere a Kigali quanto fatto al Tour de France Femmes e al Tour de France.

 

L’olandese e il belga invece metteranno sui pedali il desiderio di rivalsa, la volontà di lasciarsi alle spalle i problemi, le incomprensioni, le fragilità che sono uscite nei momenti difficili.  

 

Certo qualcuno ha altre idee, altri piani. Cercherà di intromettersi tra loro, e con qualche possibilità di farlo davvero. Eppure è il testa a testa quello si aspetta. Il testa a testa tra due campionesse e due campioni capaci di rendere le corse più belle, trasformarle in una questione personale, a volte assolutistica.

 

La speranza è che sia tutto più complicato di così. Il ciclismo sa ingarbugliare le cose, renderle arzigogolate, almeno nell’intreccio che precede il finale. Servirà dell’inventiva però, servirà rischiare.

 

Anche perché il circuito di Kigali può dare una mano ai guastafeste. Perché è duro, ma concede attimi di pausa, perché ci sono due salitelle toste – la Côte de Kigali Golf, 800 metri con una pendenza media dell’8,1 per cento, e la Côte de Kimihurura, tutta in acciottolato, lunga 1,3 chilometri al 6,3 per cento –, ma non massacranti, né per pendenze, né per lunghezza. Un percorso che premia la convinzione di potercela fare, che fa apparire le illusioni meno illusiorie e più raggiungibili. Un miraggio africano, o così almeno li chiamava Arthur Rimbaud. L’apparizione che ti riempie gli occhi e i sensi a un certo punto della vita. Un’apparizione così convincente da diventare tanto reale quanto la realtà che appare chiara e lampante a tutti quelli che ti stanno attorno.
Solo alla categoria élite maschile è stato concesso di uscire, per qualche decina di chilometri, dal gomitolo stradale di Kigali.

 

Sarà un’escursione difficile, ben più dura del circuito. Che raggiungerà i 1.771 metri del passo sotto la vetta del Mont Kigali, si arrampicherà sull’acciottolato del Mur de Kigali (quattrocento metri all’11 per cento di pendenza media e che a metà si impenna al 15 per cento), ossia nel monumento ciclistico del ciclismo ruandese. Un peccato che sia stato riservato solo per una corsa, quella degli uomini élite, e per una volta soltanto. Poteva andare diversamente, ma l’Union cycliste internationale aveva dato indicazioni stringenti agli organizzatori: tutto deve essere compattato nel minor spazio possibile per permettere di garantire agevolmente la sicurezza.

 

Difficile, impossibile forse, dire come saranno le gare, se le aspettative saranno confermate. Molto più semplice sapere come sarà ciò che starà attorno ai corridori: una festa. Una festa popolare, rumorosa, a volte assordante, animata da una passione per la bicicletta e le corse in bicicletta straripante. Perché in Ruanda, soprattutto nella zona di Kigali, il ciclismo è ancora quello sport capace di attrarre a sé tutto un paese, sa ancora animare i sogni, le speranze, le ambizioni delle persone. Anche perché il Ruanda, negli ultimi anni, ha deciso di puntare sulla bicicletta come mezzo attorno al quale costruire un suo domani. E non per ambientalismo o ideologia. Perché hanno fatto i conti e hanno visto che la bicicletta li tiene in ordine – tra diminuzione dei costi sanitari per le cosiddette “malattie da benessere” e abbattimento di quelli per manutenzione stradale – e li fa crescere – tra turismo e nuovi posti di lavoro. Una strada lunga, forse, ma che la vogliono pedalare tutta.