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Il Foglio sportivo

Vuoi il posto di lavoro? Dimmi per chi tifi

Fulvio Paglialunga

In Inghilterra la fede calcistica può influenzare un’assunzione. Per un giudice del lavoro britannico, l’armonia tra colleghi può giustificare la scelta: meglio un tifoso dell’Arsenal in un ufficio di gunners che un rivale del Tottenham

Sei qui per il colloquio di lavoro? Bene, dimmi: per che squadra tifi? Fermi, fermi: non è una domanda inopportuna. La risposta, anzi, può essere davvero un motivo per essere assunti o meno. Legittima, peraltro. Provateci voi, ad andare il lunedì in ufficio quando la vostra squadra va male e incontrare i colleghi tifosi rivali armati di insulti preparati per l’intero weekend. Immaginate se il giorno prima c’è stato lo scontro diretto. O si è sportivi, e si accetta lo sfottò, oppure quelli sono giorni di tensione. Ma esistono tifosi sportivi o è un ossimoro? Diciamo la seconda, diciamo che in quei giorni lavorare può aiutare a dimenticare, ma il problema è starci, al lavoro. Quindi, sapere di che squadra sei, a un colloquio, può essere fondamentale. Lo ha stabilito un giudice del lavoro britannico, usando il calcio come modo per spiegare una decisione che partiva da altro. Partiva dal ricorso di una donna che si riteneva discriminata dalla decisione dell’azienda per la quale si era candidata di preferire l’altra persona arrivata al momento finale con lei. Il motivo? Tra l’altro, lei diceva di non essere particolarmente socievole e di non frequentare i pub. Per chi sosteneva il colloquio, una risposta decisiva. Ma questo, secondo lei, non poteva essere motivo per essere scartata. Invece il giudice ha detto che sì, l’armonia sul posto di lavoro può essere una discriminante seria quando si decide chi assumere.


Fin qui, il calcio non c’entra. È nella sentenza che ufficio, armonia e pallone diventano una cosa sola, il tifo diventa metafora di condivisione e, anche, fonte principale delle buone relazioni. Per spiegarsi meglio il giudice elenca motivi di incompatibilità ambientali tra colleghi e scrive, testuale: “Potrebbero esserci casi in cui è perfettamente legittimo per un datore di lavoro decidere che qualcuno non sia adatto alla squadra e che quindi sarebbe difficile collaborare. Un esempio potrebbe essere una piccola azienda in cui tutti i dipendenti sono ferventi tifosi dell’Arsenal e decidono di scegliere un tifoso dell’Arsenal al colloquio rispetto a un abbonato del Tottenham con qualifiche simili perché non vogliono compromettere l’armonia dell’ufficio. La decisione in questo caso sarebbe legittima (anche se portare l’esempio all’estremo non sarebbe necessariamente positivo per l’azienda)”.


Nero su bianco, in una sentenza, vale già come precedente: il tifo può essere un motivo dominante per l’assunzione o meno e la decisione sarebbe legittima anche per il tribunale. Rovina amicizie, perché non dovrebbe incidere nel clima sul lavoro? Si dirà: nel dubbio meglio non dichiarare allora il proprio tifo, fingersi disinteressati, ma forse nemmeno così va bene, perché magari a tutti gli altri potenziali colleghi già assunti il calcio piace e potrebbero non gradire i neutrali o finti tali. Magari poteva essere fingere, o essere più attento, invece, uno degli addetti al bar dell’Etihad Stadium, lo stadio del Manchester City, che proprio in occasione dell’ultimo derby è stato fotografato mentre serviva pinte con la maglia dello United. La foto, finita su X, è diventata motivo di licenziamento. Quasi a ribadire, due volte in Inghilterra, che il rapporto tra lavoro e tifo è pericoloso. E se non ci credete o pensate non sia un problema italiano, siete invitati lunedì a Roma: domani c’è il derby, il giorno dopo, due volte all’anno, per una delle due parti l’ufficio diventa un campo minato. Si sentono già romanisti e laziali, mentre affilano gli sfottò. 

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