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Il foglio sportivo
La ricetta di Federica Brignone è nel suo pensiero positivo
La campionessa azzurra: “Ho smesso di sognare l’incidente e ho ricominciato a sognare di sciare. Ho risentito il vento sulla faccia. Mi sono sentita rivivere e mi ha ridato il sorriso”. Gli sforzi per ripartire
"All’inizio sognavo spesso l’incidente. Non ho mai rivisto le immagini, ma purtroppo ricordo tutto benissimo. Ultimamente, invece, ho cominciato a sognare di sciare”. La tigre che da sempre è nascosta dentro Federica Brignone sta per tornare fuori. Il maresciallo dei Carabinieri Brignone (“L’Arma è stata fondamentale all’inizio della mia carriera e ancora adesso mi sostiene”) però vuole fare le cose per bene, un passo alla volta. Un giorno è contenta perché è riuscita a scendere le scale senza dolori, un altro perché ha finalmente potuto indossare un paio di scarpe con i tacchi e quando poi ha potuto mettersi a pedalare sulla sua bici da downhill si è sentita rinascere: “Ho risentito il vento sulla faccia. Mi sono sentita rivivere e mi ha ridato il sorriso”.
Il vento sulla faccia significa velocità, adrenalina, tutto quello che le manca da morire anche se oggi ha in testa soprattutto un obiettivo: “Io voglio tornare la donna che ero con la possibilità di fare tutti gli sport che mi piacciono quando sarò più vecchia. La mia salute vale più di un evento sportivo. La vita non si fermerà il giorno in cui smetterò di fare l’atleta, anche perché so bene che non potrò esserlo tutta la vita. Ma so che mi piace fare sport e mi piace farlo tutti i giorni e voglio poterlo fare per tutta la vita. Mi piace fare degli sport pericolosi, intensi e che richiedono comunque un fisico prestante. Mi piace sciare, giocare tennis, fare bici da downhill, surfare, fare sport acquatici, insomma mi piace fare un sacco di cose soprattutto all’aria aperta che però richiedono un fisico non troppo rotto”. È per questo che le sue giornate oggi sono massacranti: tre ore di palestra, una di piscina, massaggi e poi nel pomeriggio allenamento aerobico in bici o in piscina. Il tutto dopo una sveglia alle 6.40 e una andata e ritorno tra La Salle e il JMedical a Torino. “Di solito mi alleno meno ore e più intensamente e soprattutto divertendomi di più. Però se voglio tornare, comunque se voglio guarire al cento per cento, questo è quello che c’è da fare e io non ho nessuna intenzione di battere la fiacca”.
Quando Federica sente il profumo di una sfida, lascia libera la tigre che si è dipinta sul casco creando un’immagine che è già diventata iconica come si dice oggi. “Il mio primo obiettivo, quello principale, è stare bene. Poi, una volta che starò bene e non sentirò più tutti questi strani rumori venire dal mio ginocchio, allora l’obiettivo diventerà di tornare a sciare. E questo è chiaro, anche perché è una sfida, difficilissima e che io non potevo non accettare, perché più una sfida è difficile, più mi piace. Poi se riuscirò bene, se non riuscirò, voglio sapere di averci provato veramente facendo tutto quello che dovevo fare. Non sono una che vuole avere rimpianti nella propria vita e cerca di vivere sempre al 100 per cento”. La gente forse non ha capito bene il punto di partenza. Il suo non è stato un infortunio normale: “Non mi sono rotta un crociato, non mi sono rotta tibia e perone perché altrimenti sarei già sugli sci. Ho avuto un infortunio da cui più del 50 per cento degli atleti colpiti, non è tornata a sciare”.
È stata più dura fisicamente o mentalmente? “Fisicamente quando mi alleno normalmente faccio anche più fatica. Ma mentalmente è stata dura perché vuoi muovere il tuo corpo in un certo modo e lui non ascolta, oppure fa malissimo e c’è tanto di quel dolore da non riuscire a fare quello devi fare. Mentalmente è stata tosta e ci sono stati dei momenti in cui il dolore era veramente forte, anche se visto quel che mi era successo pensavo anche peggio. Adesso almeno di notte dormo e la mattina quando mi sveglio non mi sembra di avere la gamba di qualcun altro. Riesco addirittura ad andare a letto e ad alzarmi da sola, ho passato delle settimane in cui ero così rigida da aver bisogno d’aiuto. Però ho sempre pensato positivo. Ogni tanto mi dico che poteva andarmi ancora peggio, perché se non mi avessero riparato bene, rischiavo veramente di non tornare neanche più a camminare dritta”. Federica quando si è infortunata non stava rischiando, non era oltre i limiti: “Mi piace l’adrenalina, il rischio, il fatto di cercare di andare più veloce. È una bella sensazione e mi dà il senso di anche libertà. Ma quel giorno non stavo rischiando. Succede. Lo sci però è pericoloso, anche più della Formula 1 o del motociclismo dove hanno molte più protezioni. Noi arriviamo a 120 orari sugli sci in curva. La paura esiste ed è un bene, altrimenti sarei una fuori di testa. La paura è un fondamentale per la nostra salvaguardia personale. Io sono una che cerca sempre il limite, ma devo avere tutto sotto controllo per farlo”.
La cosa imprescindibile in questi mesi terribili è stata ragionare “alla Velasco”, pensare solo al “qui e ora”. “Se non ragionassi così sarei caduta in un buco nero da cui sarebbe stato difficile risalire. Invece in questi anni ho imparato a pensare passetto per passetto, giorno per giorno. È stata la mia forza l’anno scorso per vincere la Coppa del mondo ed è stata la mia forza quest’estate per affrontare una cosa così difficile”. Ritorna quel pensiero positivo che è una caratteristica di famiglia: “Se non fossi una persona estremamente positiva, penso che nella mia vita non avrei raggiunto i risultati che ho raggiunto. Sono fortunata perché mamma e papà ci hanno sempre trasmesso positività e voglia di vivere”. Mamma è Ninna Quario, campionessa, quattro vittorie in Coppa del mondo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, papà è Daniele Brignone, maestro e allenatore di sci. “Avevo meno di due anni quando entrando in un negozio ho visto un paio di sciettini di plastica e mi sono messa a sciare sul tappeto. I miei mi hanno vista e hanno detto: sembra che abbia voglia, facciamola provare. Mi hanno portata in un parcheggio sulla neve e… non ho più smesso. Papà è una delle persone più brave che io conosca a insegnare. Essere figlia di una campionessa ha avuto un vantaggio: mamma era già contenta di quello che aveva fatto lei e non mi ha mai costretta a fare qualcosa che non mi andasse. Poi, quando il paragone avrebbe potuto dare fastidio, io ho scelto le gare veloci…”.
Fino ai vent’anni, Fede, non è esplosa. Non è una di quelle che hanno cominciato a vincere da bambine: “Ho vissuto un’infanzia normale, ho fatto tanti altri sport. Sciavo, ma non sciavo tutti i giorni e soprattutto non sciavo per diventare una campionessa di sci. Quello ho deciso di farlo a 20 anni e l’ho deciso io da sola. La sfida mi è sempre piaciuta. Fin da bambina e c’era da vedere chi saltava più in lungo o più in alto io c’ero, anche se in famiglia ero la più scarsa e perdevo sempre ad ogni gioco. Lo ammetto ho avuto dei genitori davvero spaziali”. Una piccola, grande lezione che dovrebbero leggere tutti quelli che pensano di avere un Tomba, un Totti o un Verstappen in casa.

Il foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA