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Gli scacchi presi con filosofia

E un premio va anche alla bellezza della partita

Enrico Adinolfi

All'Alma Mater University Chess Tournament, che si è svolto all'Università di Bologna, si premia anche la bellezza della competizione. Appaga il proprio ego scacchistico il sentirsi dire di aver giocato combinazioni brillanti. Così gli scacchi diventano anche arte e non solo sport

Passi molto tempo a giocare a scacchi anche se dovresti studiare? Sei in buona compagnia!”. Si è appena concluso l’Alma Mater University Chess Tournament, che ha riunito nel capoluogo emiliano diciotto squadre dalle università di tutto il mondo (fra cui Harvard, Yale, Cambridge, Oxford, la Sorbonne e tante altre ancora). Gli oltre ottanta studenti (e professori) si sono confrontati nella storica biblioteca universitaria di Bologna, una sede di gioco intrisa di un tempo che fu, dove gli antichissimi e preziosissimi volumi facevano compagnia ai nuovissimi pezzi e scacchiere elettroniche. Per i giocatori è stata un’esperienza quasi fiabesca (i profili italiani di chess.com camuffavano la sala da aula magna di Hogwarts), così suggestiva da riportare alla mente la nobiltà, forse perduta, del nobil giuoco. Un’esperienza, soprattutto, di bellezza.

Occorre tornare sulla bellezza, giacché l’edizione di quest’anno (la seconda, per la precisione), proprio per quanto le riguarda, ha una novità: un “Premio Bellezza” alla miglior partita del torneo, assegnato nientepopodimeno che da un’intelligenza artificiale. Da tempo i siti online, oltre alle valutazioni quantitative delle partite degli utenti, hanno incorporato quelle qualitative, ma esse sono quasi sempre una sorta di simulacro di un giudizio di un maestro. Appaga il proprio ego scacchistico il sentirsi dire di aver giocato combinazioni brillanti, e ciò rende proprio per questo l’esperienza interessata, piacevole, ben distante dall’essere bella. Chi fra i partecipanti ha impiegato più tempo a studiare che non a giocare a scacchi, e di conseguenza, come ogni studente universitario che si rispetti, conosce a menadito la Critica del giudizio (come potrebbe essere altrimenti?), coglierà la distinzione al volo.

Gli scacchi sono di certo in grado di fornire piacere disinteressato, finalità senza scopo, riescono inspiegabilmente, a partire da aride regole, peraltro noiose da imparare, a creare bellezza. Una bellezza che, kantianamente, esprime un qualcosa riguardo al soggetto stesso, in questo caso, al giocatore, ne chiama in causa il proprio senso vitale. Ebbene, le nuove e strabilianti intelligenze artificiali possono, quindi, riuscire a cogliere questa bellezza? Purtroppo, la risposta è netta, e dispiace persino darla: no. La partita premiata, quella fra Eamon Kerney, dal Trinity College Dublin e Giuseppe D’Auria, dalla Federico II, è sorprendentemente goffa e disarmonica, già dalla prima mossa, dopo 1.e4 a5?! Esperimento fallito dunque?  Può darsi, tuttavia, la lezione da trarre è preziosa. A Bologna si è misurata l’umanità del gioco, ci si è ricordati che non è solo scienza o solo sport, e non è solo piacere, gli scacchi sono anche arte, sono anche bellezza umana.
 

La partita: Robert Eugene Byrne vs Robert James Fischer, US Championship 1963, 0-1
Uno dei premi bellezza più famosi di sempre. Riesci a trovare la mossa che relega al Nero un attacco irresistibile?