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Il foglio sportivo
Juve e Inter alla prova verità
E' una delle partite che lo scorso anno è costata lo scudetto ai nerazzurri. Intanto Tudor e Chivu sono ancora alla ricerca dell’assetto giusto, ma la sfida, in un derby d'Italia forse arrivato troppo presto, pesa già molto
L’Inter pareva destinata a cambiare molto per dimenticare tutto quello che non aveva funzionato sul più bello, la Juventus doveva aggiustare qualcosa per venire incontro alle esigenze di chi aveva raddrizzato una stagione rabbuiatasi con il passare delle settimane. Ma a leggere la coda del mercato che ha posizionato definitivamente sulla griglia di partenza le due squadre, verrebbe da dire che si è scelta una strada a sorpresa. E così, dopo due turni sostanzialmente interlocutori (ma occhio, i punti persi e guadagnati ad agosto hanno lo stesso valore di quelli di maggio) che non hanno messo di fronte le grandi per tradizione del nostro calcio, per la terza giornata è già liberi tutti: nel weekend delle pur interessantissime Fiorentina-Napoli e Milan-Bologna, i riflettori se li prende il derby d’Italia, e non potrebbe essere altrimenti.
Numeri alla mano, è una delle partite che lo scorso anno è costata lo scudetto ai nerazzurri: il folle 4-4 dell’andata, quando tutto sembrava in controllo di un’Inter dilagante, improvvisamente risvegliata dalla doccia gelata azionata a tradimento da Yildiz quando tutti erano già pronti per la festa all’inseguimento del quinto gol, e il decisamente più soporifero ma altrettanto sanguinoso, per i nerazzurri, 1-0 della partita di ritorno, ultimo sussulto dell’era Motta prima del tracollo, generato da una danza ipnotica di Kolo Muani sul pallone in un’area affollata come una metropolitana nell’ora di punta per poi armare Francisco Conceiçao.
Avevano quindi camminato fianco a fianco al Mondiale per club, l’Inter alla scoperta di Cristian Chivu, la Juventus in una fase di consolidamento con Igor Tudor. Era lecito immaginare uno stravolgimento nerazzurro in piena estate, come quello di chi esce con le ossa rotte da una storia d’amore e per non pensarci più cambia drasticamente vestiti e taglio di capelli: si è passati dal sognare Lookman a Koné al risveglio con Diouf e il cambio sul gong Pavard-Akanji, un ultimo sguardo commosso all’arredamento e chi si è visto, si è visto. È l’Inter dello scorso anno nel sistema di gioco e quasi del tutto negli uomini, certamente più lunga, perché Bonny ed Esposito sembrano tutt’altra roba rispetto ad Arnautovic e Correa, così come Sucic pare possa diventare qualcosa in più di un’alternativa a Mkhitaryan, ma non è una squadra trasformata: il ticchettio dell’orologio biologico di alcuni uomini cardine della difesa non può certamente essere arginato con lo schioccare delle dita. La visita allo Stadium non sarà di cortesia, ha il sapore della trappola nascosta tra le foglie: dopo la sconfitta con l’Udinese, per Chivu rischia di essere già una sfida delicata, da maneggiare con cura. Forse anche per questo le voci della vigilia riferiscono di un immediato inserimento di Akanji, uno abituato alle sfide di alto livello, e di un ritorno di Mkhitaryan nell’undici titolare, a voler rischiare il meno possibile, andando sul percorso più battuto dai nerazzurri, quello conosciuto a menadito. Chivu dovrà provare a cambiare quest’Inter nei dettagli, nella sostanza più che nella forma, smussando degli angoli invece di azzerarli in maniera dirompente: sarà un lavoro da artigiano, chissà se ne avrà il tempo.
Tudor, dal canto suo, ha aspettato pazientemente che la società lavorasse per lui. Ha visto partire giocatori che forse non avrebbe lasciato andare, ma è la dura legge del mercato: sacrificare un pezzo per arrivare a un altro, sempre tenendo uno sguardo attento sul bilancio. Avrebbe voluto Kolo Muani, si ritrova invece Openda ad affollare le rotazioni dell’attacco: con Vlahovic rimasto in bianconero con l’intento di far fruttare al meglio questo contract year, come direbbero in Nba, per mettersi in mostra nella versione migliore di sé al fine di spedire le labbra a un indirizzo nuovo nella prossima stagione, e David arrivato per prendersi la maglia da centravanti titolare, l’impressione è che qualcuno dovrà adattarsi. Forse il belga, magari chiamato a partire un po’ più dietro, al fianco di Yildiz, e chissà, forse già stasera, visti gli acciacchi di Conceiçao, oppure proprio Tudor, ribaltando il triangolo offensivo con il turco a sostegno di due punte. E Zhegrova? Che non gioca una partita da dicembre, flagellato dalla pubalgia, ma nei suoi momenti di gloria è parso una sorta di Conceiçao con molta più presenza al momento della conclusione e dell’assist? Sono dubbi che saranno sciolti con il passare delle settimane, intanto la Juve ha bisogno di provare a dare un segnale: andare a +6 sull’Inter dopo tre giornate di campionato potrebbe non voler dire nulla eppure, allo stesso modo, rappresentare un’iniezione di fiducia da non sottovalutare.
La certezza al momento è al centro della difesa, perché il rientro di Bremer vale più di un nuovo acquisto: ai tempi della Lazio, per motivare Castellanos nei minuti precedenti al ritorno della semifinale di Coppa Italia, Tudor venne colto dalle telecamere in un fitto dialogo con il suo centravanti. “Di là c’è un difensore che per me è il più forte al mondo: c’è una cosa più bella di giocare contro il più forte di tutti?”, disse il croato, che oggi attorno al brasiliano può provare ad alzare una fortezza inscalfibile, la Juve del presente e del futuro, dando più stabilità a chi gli gioca attorno. Anche in casa bianconera, però, servirà un lavoro di cesello: c’è un Koopmeiners da ricostruire, per esempio, ed è un patrimonio che la società non si può permettere di disperdere. Pure lui spera di battere un colpo in un derby d’Italia forse arrivato troppo presto.

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