
Urbano Cairo (Ansa)
il foglio sportivo
Quei vent'anni ad alto rischio di Cairo al Torino
Non è bastato salvarlo dal fallimento. I tifosi contestano, i giornali (non i suoi) attaccano, ma lui non vende per ora
Vent’anni di Toro sono tanta roba. Nessuno aveva resistito così a lungo alla presidenza del club granata. Il 2 settembre sarà un ventennio esatto da quando Urbano Cairo è diventato proprietario del Torino. Non si metterà a ballare scatenato, come fa abitualmente il giorno del suo compleanno, ma un anniversario tondo vale la pena di essere celebrato, anche se i migliori risultati della sua gestione sono stati due settimi posti e le cinque sberle rimediate a San Siro hanno fatto andare lo champagne di traverso. D’altra parte non è che nei vent’anni precedenti il Torino avesse spaccato il mondo. Dopo il periodo d’oro, quello storico del Grande Torino, sono arrivati solo lo scudetto del 1976, la finale di coppa Uefa del 1991 e la coppa Italia del 1993. Non era una squadra abituata a vincere. Prima, come adesso, anche se la statistica che fa arrabbiare di più i tifosi è il bilancio nei derby, quello sì crollato di colpo negli ultimi anni: una vittoria e 7 pareggi in 32 partite.
Sulla Stampa, quella di Torino, quella di John Elkann che proprio amico suo non è, non sono mai stati teneri con il presidente. L’altro giorno hanno chiuso un commento chiedendosi: “Diteci come si fa a non comprendere la contestazione verso Cairo”. Ci sta, dopo aver preso cinque gol. Per essere obiettivi però bisognerebbe fare un salto indietro e vedere che cosa era, anzi non era, il Torino nel 2005: una società che si è salvata dal fallimento solo grazie al lodo Petrucci. Una società che non aveva neppure i palloni e aveva dovuto ricomprarsi anche il nome per ricominciare da zero grazie a una finestra speciale del mercato che permise al nuovo presidente di dare a Gianni De Biasi una squadra competitiva che in 9 mesi e 9 giorni riportò il Toro in Serie A. Una partenza bruciante che aveva autorizzato di sognare in grande. Il popolo granata pensava davvero di aver trovato un nuovo Berlusconi e già sognava di ripercorrere le orme del grande Milan. Invece nel 2009 arrivò una retrocessione in Serie B con un purgatorio più lungo del previsto nella serie cadetta fino alla promozione del 2012. Sono di quel periodo le prime contestazioni perché, si sa, i tifosi hanno la memoria cortissima e fanno presto a scordare chi li ha salvati dal fallimento. Il “Cairo vattene” è diventato uno slogan fisso nelle ultime stagioni con marce in città, striscioni allo stadio e un consiglio al presidente da parte delle forze dell’ordine: meglio non farsi vedere in tribuna.
Ogni tanto arriva una voce: Cairo vende. Ci sono gli sceicchi, c’è la Red Bull. Ma alla fine il Toro resta sempre di Urbano Cairo (almeno per ora, perché qualche dossier gira tra le banche d’affari) che il 2 settembre 2005 si affacciò al balcone del Municipio di Torino sventolando un drappo granata, accolto come il salvatore della patria. Oggi l’immagine del salvatore non sempre è la prima che viene in mente a molti tifosi del Toro, che vorrebbero vedere spesso in modo irrazionale un presidente che spende e spande. Ma Cairo non è così, altrimenti non avrebbe costruito una fortuna attorno al suo business arrivando a conquistare (e poi a risanare) prima La7 e poi Rcs editore di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, il salotto buono di Milano e non solo di Milano. Lui è quello che controlla personalmente le note spese di tutti i dipendenti, controlla le spese per la cancelleria sostituendo pure le Bic e, come raccontava un suo allenatore, risparmia anche sulla frutta per la squadra, servendo quella di seconda scelta. Nel calcio di oggi non potrebbero reggere il confronto giganti come Berlusconi e Moratti, devono reinvestire ogni anno gli Agnelli, riesce a lasciare un segno solo De Laurentiis che vince con i bilanci in attivo e ha preso il Napoli addirittura dalla Serie C nel 2004. Il Napoli è un’altra piazza, ha un altro respiro, ma i vent’anni di De Laurentiis e quelli di Cairo non vi sono soltanto scudetti di mezzo. Vi è anche il bilancio sportivo.
Quello del Toro è questo: 185 vittorie, 202 pareggi e 221 sconfitte nelle 16 stagioni giocare in A. E ai tifosi importa solo quello. Quest’anno, forse proprio per festeggiare i primi 20 anni da presidente, ha fatto un mercato importante (a saldo economico positivo ça va sans dire), si vedrà quanto efficace. Toccherà a Marco Baroni, il 17esimo allenatore dell’èra Cairo (senza contare le riassunzioni a stagione in corso) cercare un miracolo. D’altra parte la Gazzetta ha già titolato: “Occhio a Baroni: potrebbe diventare l’allenatore dell’anno”. Cairo ne ha testati tanti di allenatori in vent’anni. Gli allenatori li assume, li caccia e poi con molti di loro resta amico: Gian Piero Ventura e Gianni De Biasi non si perdono un compleanno presidenziale ogni 21 maggio. La narrazione della presidenza Cairo ha preso una strada nuova quando il presidente ha acquistato Rcs nel 2016. Da quel momento Corriere e Gazzetta hanno ovviamente cominciato a trattarlo in un altro modo, gli spazi dedicati alla squadra granata sono aumentati e i giudizi sono mutati, e anche lo spazio lasciato alle contestazioni. Quando nel settembre 2005 comprò il Torino, il Corriere gli dedicò un taglio basso il primo giorno (la trattativa fu conclusa nella notte) e mezza pagina con intervista il giorno dopo. Succedesse oggi chissà… Per la Gazzetta la sua sarà probabilmente una presidenza da 8 in pagella, forse da 9. Per Tuttosport probabilmente non arriverebbe alla sufficienza. Per i tifosi più scatenati è naturalmente da “Cairo Vattene”. La verità probabilmente sta nel mezzo. Non tutto è da buttare. Ma far meglio non è impossibile. Soprattutto per chi si è sempre ispirato a Silvio Berlusconi. Buon compleanno presidente? A lei la risposta.


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