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Il Foglio sportivo
La nuova vita del Maradona delle carceri. La lezione nella storia di vita di Maiello
Il grave infortunio che gli ha stravolto la vita a 17 anni (quando era una promessa del Monza), la testimonianza nei settori giovanili, le iniziative sociali. Fabrizio Maiello si racconta
Quanto può entrare il calcio nelle nostre vite? In quella di Fabrizio Maiello la presenza del pallone è stata totalizzante, nel bene e nel male. Promessa del Monza a inizio anni Ottanta, a 17 anni Maiello subisce un grave infortunio al ginocchio che lo porta, a causa della fortissima delusione, a stravolgere la sua vita: la dipendenza da eroina, i furti e le rapine a mano armata. Venticinque anni tra carceri, fughe, latitanze in giro per l’Italia e poi l’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario) di Montecchio Emilia, sempre contornati dalla presenza del calcio: un quasi-rapimento di Gianfranco Zola nel 1994, la sua mania per le maglie da calcio e alla fine il riscatto nell’Opg di Montecchio, tramite un’amicizia (quella con Giovanni, malato terminale che Fabrizio ha seguito e “curato” a lungo) e un amore (quello con l’attuale compagna Daniela) nati proprio lì dentro. Nel frattempo, i record di palleggi (in ogni modo: in avanti, indietro, di testa) e gli innumerevoli gol nei tornei Uisp, allenandosi nel “giardino dei 24 passi” dentro l’Opg. Da qualche anno racconta la sua storia nei settori giovanili professionisti; a maggio ne è stato prodotto il podcast “Il Maradona delle carceri”, a cura di Marco Cattaneo, da cui verrà pubblicato un libro omonimo per Mondadori-DeAgostini e una serie tv.
“Oggi porto avanti tante iniziative sociali di cui vado fiero” racconta Maiello al Foglio Sportivo. “Sono testimonial per ‘Un calcio al bullismo’: ho sempre difeso i più deboli, per me è un gesto coraggioso e onorevole. Anche queste sono imprese, non sportive, ma umane. Sensibilizzo contro la violenza sulle donne: nonostante il mio passato criminale, non ho mai alzato un dito contro una donna, anzi, ne ho difese tante che finivano in brutti giri. Alla fine, nell’Opg mi hanno salvato due donne (la direttrice Valeria Calevro e la già menzionata Daniela). Ritengo chi attacca i più fragili un vigliacco”. Maiello rappresenta anche la Nazionale sacerdoti: “Tutto grazie a Moreno Buccianti, che conosco da vent’anni. Facciamo tante attività in tutta Italia, anche con ex campioni come Beccalossi, Ganz, Fuser e tanti altri, con partite di calcio e foot-golf per beneficenza. Dal 4 al 6 novembre saremo a Roma per la Jubilee Cup tra tutte le diocesi d’Italia”.
A dare il calcio d’inizio sarà proprio Gianfranco Zola, il quale ha conosciuto Fabrizio grazie a Marco Cattaneo e l’ha perdonato. Ciò che a Maiello sta più a cuore è la testimonianza che porta nei settori giovanili. “Peccato che i ragazzi non giocano più per strada, quello fa creare tante amicizie e aiuta anche tecnicamente. Per fortuna, però, sono seguiti e preparati dal punto di vista psicologico: se hanno un infortunio come il mio non vengono abbandonati, anzi, vengono abituati ad accettare che il sogno possa anche non avverarsi, perché sono in pochissimi che arrivano” osserva Maiello. “Il momento più emozionante per me è stato tornare a Monza ed entrare al Brianteo, con le luci accese, il pallone sottobraccio e uno striscione che recitava “Bentornato a casa”: da brividi. In questi casi mi rendo conto che la mia storia colpisce tutti trasversalmente, perché non è solo una storia di calcio: ci sono amicizia, amore, criminalità. Tutto”. La prossima impresa è fissata il 24 settembre: scalare il colle di Superga palleggiando, arrivando alla tomba del Grande Torino. A metà agosto Maiello è già stato a Superga per una ricognizione. “Ho fatto il percorso prima in discesa e poi in salita. Arrivato in cima, ho trovato gente ad applaudirmi. Vedere il messaggio che porto col calcio è meraviglioso”.
Non solo calcio, però, nella vita di Maiello: “Sono sportivo a 360 gradi, ma negli ultimi anni mi sono un po’ allontanato dal calcio: non ci sono più calciatori che mi appassionano. Seguo il tennis, anche perché ci ho giocato ed ero bravino. Mi piace Sinner, ma non per le sue vittorie: in lui vedo delle fragilità. È un ragazzo forte, ma a volte mi sembra che non riesca a gestire tutte le pressioni: lo vedo in tutta la sua umanità e vulnerabilità”. Alla fine, però, torna sempre al suo amato pallone. “Oggi ci sono tanti bambini vicino casa mia (vive in provincia di Reggio Emilia) che sanno la mia storia, e mi vogliono tutti bene: riconoscono in me il campione fragile. Ogni tanto sento suonare il campanello, apro e li trovo che mi chiedono di andare a giocare con loro. Questa è la mia Champions League”.


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