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Il Foglio sportivo
Fontecchio mentality per l'Italbasket
“L’Nba è il lavoro, la Nazionale il divertimento. Ma senza medaglia non sarei contento” dice Simone Fontecchio, stella della Nazionale, l'unico azzurro rimasto in Nba
È difficile essere contenti quando vai via da una manifestazione senza una medaglia. Se dicessi di essere contento per un decimo posto tornando a casa dall’Europeo, direi una bella…”. Bip. Ma il concetto è chiaro. Simone Fontecchio è la stella della Nazionale che sta per cominciare la sua avventura europea. L’unico azzurro rimasto in Nba dove quest’anno ripartirà da Miami dopo esser stato a Salt Lake City e a Detroit. Là è un giocatore da una ventina di minuti a partita, qui deve trasformarsi nel trascinatore della squadra: “Chiaramente è una responsabilità, però è soprattutto un privilegio. Lo vivo in maniera molto serena e felice onestamente, perché è un ruolo che mi piace. Chiaramente non capita a tutti, quindi lo accolgo con tanto senso di responsabilità, orgoglio e carica positiva”. A quasi trent’anni, con due figlie piccole, trascorrere anche le estati lontano dalla famiglia comincia a diventare un peso. Ma Simone vede l’Nba come lavoro, business e la Nazionale come divertimento. “Stare in gruppo con questi ragazzi che conosco da 15 anni, rappresentare l’Italia è comunque un bel momento e fa pesare meno la lontananza da Rosa e dalle bimbe”. E poi l’azzurro è un colore di famiglia. Il nonno Vincenzo Pomilio e la mamma Mali sono stati nazionali di basket, papà Daniele è uno dei migliori ostacolisti italiani degli anni Ottanta, arrivato a un centesimo dalla finale olimpica di Los Angeles nei 110 hs.
“Papà ci ha provato a farmi fare un po’ di atletica, ma non era per me. Ho cominciato con il basket a 5 anni e non ho più smesso, a 14 anni sono andato via di casa a Bologna e dopo qualche anno ho capito che sarebbe diventato il mio lavoro”. Per 15 anni ha avuto il poster di Kobe in camera e quando è stato scelto da Utah si è accorto che in quella foto stava giocando proprio contro i Jazz. Quasi un segno del destino: “Per 15 anni non me ne ero accorto, poi quando sono andato a cercare dove era Utah sono incappato in quella foto”. Tifoso e ammiratore di Kobe, ma non della Mamba Mentality. “Mi spiego – racconta – sono sicuramente sempre stato un suo grandissimo fan. Ho sempre apprezzato la sua mentalità e non è che io non sia un fan della Mamba mentality, non sono un fan dell’ossessione. Io sono il primo che si fa un mazzo tanto ogni estate e durante la stagione in palestra faccio un sacco di lavoro extra in più da solo a orari anche improponibili. Però percepisco l’ossessione come qualcosa di negativo, non mi piace essere ossessionato da qualcosa”. Non sono più un’ossessione neppure quei due tiri liberi sbagliati nel quarto di finale contro la Francia all’Euro 2022 dopo una partita super: “Sono stato male per una settimana. Ci ho pensato perché abbiamo perso un’occasione pazzesca. Però so anche che non posso tornare indietro e che una partita non si perde per un singolo evento, anche se quei due liberi… Però è inutile stare a rimuginarci sopra”.
La Fontecchio mentality è un po’ questa. Quando tutti lo davano per disperso, dopo gli anni milanesi in cui non aveva trovato lo spazio che sperava, non ha mollato. Anzi, ha intensificato il lavoro. “Dall’ultimo anno di Milano, da quando avevo 22-23 anni, ho cambiato molto il modo in cui mi approcciavo alla pallacanestro e al lavoro in generale. Ho cominciato ad allenarmi tanto, con criterio, sulla parte tecnica e quella fisica. Da cinque sei anni ho un mio preparatore personale, Matteo Del Principio, ho lavorato anche con il grande Fabrizio Borra (preparatore di Alonso, Pantani e di tanti atleti italiani, scomparso da poco). Circondarmi delle persone giuste mi ha fatto crescere”. Fare le scelte giuste, andare in squadre che lo facevano giocare, prima Cremona e Reggio Emilia, poi la Germania (Alba Berlino) e la Spagna (Baskonia) lo hanno fatto andare oltre il suo sogno.
“L’Nba è sempre stata qualcosa di talmente lontano che era anche molto difficile da sognare. Quando avevo 18-19 anni c’era la voce che avrei potuto essere scelto, sono andato a fare anche un workout con Boston… Però era una cosa veramente molto lontana… Tutto è cambiato quando ho cominciato a giocare tanto in Eurolega a Berlino: lì mi sono reso conto che non ero vecchio e che magari…”. Ecco il consiglio ai giovani è questo: “In Italia ci sono due squadre in Eurolega, se non si trova spazio andate all’estero dove vi fanno giocare”. Lui sognava di farlo a Milano, con Repesa aveva trovato anche un buon minutaggio, poi è arrivato Messina e il panorama è cambiato. È dovuto andare a cercare minuti lontano anche se in allenamento i suoi compagni gli chiedevano: “Ma perché non ti fa giocare?”. Messina, qualche tempo dopo, ha serenamente ammesso l’errore. Ma forse per Simone è stato meglio così. Una strada seguita anche da Melli, Spagnolo, Procida. “Quando sono arrivato a Berlino partivo in quintetto in Eurolega, avevo quei minuti che a Milano mi sognavo o avevo solo in campionato. Se un giovane ha l’ambizione è giusto che vada all’estero”. La Nazionale del Poz è costruita su questi “stranieri” in fin dei conti. “Lui ci dà tanta energia sicuramente e anche serenità. Ormai ci conosciamo tutti e sappiamo come prenderlo, lui sa come prendere noi. È un vantaggio avere lo stesso allenatore da tanto tempo”.
Ma dove si può arrivare è impossibile dirlo. “Sono stufo di fare pronostici. Non ha senso in una competizione come l’Europeo dove ci sono veramente tante squadre di qualità con giocatori importanti. Potenzialmente ce ne sono una decina da medaglia. Dipenderà da chi starà meglio fisicamente, più in forma, chi avrà meno defezioni e chi si farà trovare più pronto e avrà più fortuna. Ci sono due tre squadre al di sopra, Francia, Serbia, Germania, gli altri se la giocano. Noi giocheremo anche per Achille, ma non serve una medaglia per fargli capire quanto noi e tutta la pallacanestro teniamo a lui”. Fontecchio ha un altro sogno nel cassetto: “Vorrei arrivare ai Giochi di Los Angeles dove papà sfiorò la finale nel 1984 per chiudere un cerchio”. E mettere un fiocco azzurro ad una carriera che già così vale un bel 8 in pagella.



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