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Il Foglio sportivo

Perché l'arbitro parlante resterà cornuto

Fulvio Paglialunga

Da questa stagione gli arbitri di Serie A potranno spiegare in diretta le decisioni Var. Un’iniziativa lodevole, ma nel calcio italiano rischia solo di alimentare nuove polemiche

Una volta si diceva: l’arbitro migliore è quello che non si nota. Quello di cui nessuno si rende conto durante una partita: vuol dire che tutto è andato liscio, che nessuno ha protestato. Bello il calcio, quando agisce in sottrazione: senza spettacoli collaterali, solo una partita e le tensioni di un risultato da raggiungere. Con tutti i protagonisti, anche l’arbitro, con il loro ruolo. Certo, l’arbitro è fondamentale: se un attaccante commette un errore, ci può essere un compagno di squadra che rimedia; se l’arbitro sbaglia, incide, cambia il corso di una partita. Per questo è arrivato il Var: facciamo fare meno errori, quindi creiamo meno polemiche. Intento nobile, il mondo cambia, la tecnologia aiuta e quindi usarla migliora il calcio. Senza la nostalgia del centimetro d’oro regalato da Giampiero Boniperti a Dino Viola per virare in risata le liti per il gol di Turone, meglio non aver “gol di Turone” e non se ne parla più. Poi il supporto fornito agli arbitri per evitare le polemiche è diventato a sua volta elemento di polemiche: troppo zelante, troppo utilizzato, si va in fuorigioco per un’unghia, e dai, ma-che-è-calcio-così?, dicono in genere quelli che sono penalizzati.

È saltato anche il concetto di errore chiaro ed evidente, il Var (o la Var? Anche questo dubbio è diventato una polemica) è diventato una specie di moviola in campo. Perché niente ferma le risse verbali nel pallone, soprattutto nel nostro dove la designazione dell’arbitro per la partita è una notizia che potrebbe anche aprire i giornali. Perché il tifoso non conosce ragioni che non siano le sue, non ha obiettività e se ce l’ha non tifa abbastanza. C’è persino la depravazione di questo concetto che è il complottismo, ma magari è tema da prossima volta sennò non arriviamo al punto. Il punto è che da questa stagione, in serie A, gli arbitri potranno all’announcement in campo. Cioè: potranno spiegare in diretta al pubblico le proprie decisioni dopo un intervento del Var. Lo ha annunciato Gianluca Rocchi, il capo dei fischietti italiani, come fosse una buona notizia.

Facciamo così: non lo è. Non lo è perché lo dice la storia di ogni novità (abbiamo appena raccontato brevemente l’evoluzione del Var), che serve soltanto a innovare il modo di accapigliarsi. Non lo è perché rende l’arbitro, che dovrebbe essere argomento marginale della partita, un ulteriore protagonista con l’ego da domare, con il modo di comunicare da allenare. Quasi non dovesse più decidere bene, ma imparare a spiegarlo. Cureranno anche quello, dice Rocchi, ma ognuno spiegherà con il suo stile, senza limiti di tempo. Immaginate Collina, l’uomo che ha impersonificato prima di tutti il protagonismo degli arbitri, con un pulpito a disposizione durante la partita. Immaginate il pubblico che ascolta e insulta, che comunque non è d’accordo, che ritiene di saperne di più. Hanno dato un nome inglese alla novità (announcement, appunto) perché è un’idea importata: dagli sport che sono sport in paesi che hanno un pubblico che va per lo spettacolo. Ma il calcio è un’altra cosa: allo stadio si va con rancore e rabbia, e se l’arbitro spiega, ma va contro la propria squadra, è comunque cornuto. Anche se parlante.

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