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Il Foglio sportivo
L'Open Championship in Irlanda del Nord, la grande sfida tra le dune, il vento e il mare per la Claret Jug
Royal Portrush si trasforma ancora una volta in palcoscenico di emozioni e imprese, tra dune, vento e colpi memorabili. Con i protagonisti attesi e i fantasmi del passato, il pubblico vive l’attesa di un verdetto che vale l’ingresso nella leggenda
Ci sono luoghi in cui il golf non è solo un gioco, ma un rito, un confronto con la natura, col tempo, con la storia. Siamo a Portrush, dove il mare si fa sentire anche quando non lo vedi, dove certi green sembrano correre verso l’ignoto, davanti a grandi dune in lotta perenne col vento. Su questa piega di terra sospesa all’incrocio tra l’Atlantico e il Mar d’Irlanda, alla fine dell’Ottocento, Old Tom Morris ha disegnato un campo bello e impossibile, che non perdona l’errore, ma può riservare giorni di gloria a chi è in grado di leggerne le linee. Qui puoi vincere solo se firmi un patto di sangue col campo.
L’Open Championship torna in Irlanda del Nord, la pioggia in questi giorni ha fatto solo brevi comparse ed è il vento a prendere il centro della scena come spesso da queste parti. Come scrisse John Hewitt, poeta di Belfast che di questi luoghi aveva capito tutto, “camminare contro il vento è il solo modo per non farsi portare via”. Cinque anni fa, eravamo a bordo green ad applaudirlo, fu Shane Lowry a camminare controvento più lesto degli altri ed eccoci oggi ancora tra queste buche disegnate per tendere tranelli ai più forti. Lo ricorda bene Rory McIlroy che nel 2019 alla prima maledetta buca, dopo un gancio sul tee di partenza, scrisse sullo score un quadruplo bogey, vanificando i sogni di chi sperava di vederlo trionfare sui campi dove da bambino aveva iniziato a tirare i primi colpi.
Intorno a noi il paesaggio toglie il fiato, tra le rovine del castello di Dunluce che sembrano pronte a raccontare storie di fantasmi e la Giant’s Causeway che sfida qualunque possibile installazione di land art. Qui la Claret Jug non si conquista senza lasciare qualcosa per strada, un po’ di pelle, un po’ di voce e un po’ di fortuna. L’hanno alzata al cielo grandi campioni come James Braid, Bobby Locke, Tom Watson e Seve Ballesteros, lo spagnolo che più di tutti, forse perché nato sulla costa nord, ha saputo leggere la geografia di questi campi. Qui vince chi sa aspettare l’attimo senza forzarlo. Lo sapeva bene Harry Vardon che di Open ne vinse sei, il primo nel 1896 e ogni volta diceva che il segreto è “lasciar parlare la palla”, come se il campo fosse una pagina bianca e il bastone il suo abile pennino.
Scottie Scheffler è arrivato al solito in punta di piedi, ha tirato fuori i suoi ferri come se stesse misurando ogni centimetro del campo e si è preso lo spazio che gli spetta. È lui il numero uno al mondo, gioca senza fretta, quasi come fosse un’attività qualsiasi e invece è tutta concentrazione e catena cinetica del corpo, continuità assoluta, ripetizione meccanica di uno swing che non sbaglia quasi mai. Dietro si muovono gli altri americani quelli che non amano troppo la pioggia, ma quando serve sanno mordere il campo. Patrick Cantlay, Xander Schauffele, Collin Morikawa, appaiono meno di altri campioni, ma quando sono in forma sanno scrivere il proprio nome nei finali di giornata.
Poi ci siamo noi a bordo green e siamo in migliaia a muoverci tra una buca e l’altra, a scrutare le traiettorie contro il cielo a bordo fairway, a intuirne l’esito ascoltando il rumore dell’impatto, a leggere nelle smorfie dei giocatori, se qualcuno ci copre la vista, qualcosa che somigli a un presagio. Due inglesi qui scaldano i cuori delle folle, Matt Fitzpatrick e Tommy Fleetwood, oltre alla nuova generazione di giovani europei che si stanno affermando non solo nel Vecchio Continente. Occasione buona per ricordare la storica vittoria azzurra di sabato scorso nel European Amateur Team Championship che fa sperare, nei prossimi anni, in una piccola valanga azzurra.
Non solo pensando a loro, una buca dopo l’altra, camminando tra le tribune di Royal Portrush, cresce la sensazione di attesa per la battaglia finale. Sarà la storia, sarà il vento, sarà che nessun torneo è antico e speciale quanto l’Open Championship ma siamo qui tutti ad attendere chi sarà il vincitore, il nome da incidere sull’argento della Claret Jug per entrare definitivamente nella storia dello sport.