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Il Foglio sportivo

Le lezioni che ci può dare ancora l'Heysel a 40 anni dalla tragedia

Francesco Caremani

Andrea Lorentini, figlio di una delle vittime, riflette sull’importanza della memoria e del contrasto alla violenza nello sport. Ha rifondato l’Associazione fra i Familiari delle Vittime per difendere il ricordo dei morti e promuovere l’educazione civico-sportiva

Andrea Lorentini oggi è un collega, un giornalista sportivo. Figlio di Roberto, una delle vittime dell’Heysel e medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, e nipote di Otello, il quale fondò l’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per affrontare il processo e ottenere giustizia dopo la strage dell’Heysel. Nel 2015 ha rifondato l’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel per più motivi. Difendere la memoria dei propri cari, troppo spesso offesi e vilipesi negli stadi e sui social media. Portare avanti progetti contro la violenza nello sport in scuole e università. Organizzare convegni, momenti di riflessione, giornate intorno al 29 maggio 1985 e alla strage dell’Heysel.

Che cosa rappresenta l’Heysel nella vita di Andrea Lorentini?
“Uno spartiacque arrivato troppo presto. Quando ho perso mio padre avevo appena tre anni e quindi sono cresciuto, di fatto, orfano con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Anche se avrò una gratitudine eterna per mia mamma e, soprattutto, per i miei nonni paterni, Otello e Liliana, per avere cresciuto me e mio fratello non facendoci pesare questa enorme assenza e garantendoci una vita sostanzialmente serena”.

Perché nel 2015 hai deciso di (ri)fondare l’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel?
“Per non disperdere l’eredità di Otello: il suo impegno civico nella lotta contro la violenza nello sport e quello per tenere viva la memoria delle vittime dell’Heysel”.

Cosa si proponeva inizialmente l’Associazione?
“Difendere la memoria delle vittime dell’Heysel in ogni sede, anche civile e penale. E sviluppare progetti di educazione civico-sportiva rivolti alle nuove generazioni per riempire di contenuti la memoria”.

C’è un obiettivo non raggiunto cui tenevi particolarmente?
Una memoria condivisa con la Juventus. Ci abbiamo provato all’inizio del nostro percorso ad aprire un nuovo capitolo. Non ci siamo riusciti pienamente”.

C’è un obiettivo ambizioso che cercherete di raggiungere in tutti i modi?
“L’istituzione di una giornata nazionale contro la violenza nello sport”.

Qual è stato, se c’è stato, il ruolo della Juventus nel processo di erudizione della memoria?
“Come spiegavo prima, negli anni non ha avuto un ruolo proattivo come ci si poteva aspettare. Apprezzo, comunque, il fatto che la nuova società, nel quarantesimo anniversario, inaugurerà alla Continassa, in un luogo aperto al pubblico, un monumento in memoria dei 39 morti dell’Heysel”.

E quello della Figc?
“Nell’ultimo decennio è stata presente. Nel 2015 abbiamo ritirato insieme all’Associazione la maglia numero 39 della Nazionale con una cerimonia proprio allo stadio Heysel, oggi re Baldovino. Un gesto simbolico, ma di grande significato per testimoniare come quella triste pagina debba elevarsi a tragedia di un intero Paese. Nel 2024 quando gli azzurri sono tornati a giocare a Bruxelles hanno reso nuovamente omaggio alle vittime. Aggiungo che la maglia numero 39 è esposta al Museo del Calcio di Coverciano con il quale abbiamo attivato una fattiva collaborazione e per la quale ringrazio profondamente il presidente Matteo Marani, molto attento e sensibile alla memoria”.

E quello dell’Uefa?
“Per quanto ci riguarda alcuno”.

In quale preciso momento hai capito che (ri)fondare l’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel è stato fondamentale per raccogliere l’eredità della memoria?

“Quando hanno iniziato a riconoscere l’Associazione come un’entità istituzionale”.


Gli inglesi, i tifosi del Liverpool in particolare, hanno sempre avuto un atteggiamento ambiguo su quello che è successo il 29 maggio 1985, dicendosi responsabili ma non colpevoli, cosa ne pensi?
“Penso che sia un modo ipocrita di raccontare le cose. La responsabilità non è solo la loro, ma da condividere con Uefa e Belgio, però gli assassini materiali sono stati gli hooligans. Più colpevoli di così è difficile immaginarli”.

Perché si confonde spesso la strage dell’Heysel con il tifo calcistico e a chi fa comodo?
“Perché c’è poca conoscenza dei fatti e il pensiero comune e maggioritario è che le vittime fossero tutti tifosi juventini. Fa comodo a chi vuole usare l’Heysel come contrapposizione”.

Da quali fake news devi difendere ciclicamente la memoria dell’Heysel?
“Da quelle che parlano di vittime originate da scontri tra tifosi quando invece la dinamica di quello che è accaduto nel settore Z è fin troppo chiara”.

Al di là dell’Heysel qual è l’eredità personale che ti ha trasmesso nonno Otello?
Il coraggio e la dignità”. 

E tuo padre Roberto?
“Il suo gesto di estremo altruismo è l’esempio più alto che potesse lasciarmi”

Che cosa resta dell’Heysel quaranta anni dopo?
“La speranza che la memoria trasmessa alle nuove generazioni serva per una convivenza civile migliore”.

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