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la nota stonata #37

Lo scudetto lo vince davvero la squadra più forte? (probabilmente no)

Enrico Veronese

Napoli e Inter ancora in corsa per lo scudetto. Parma, Lecce, Empoli e Venezia in lotta per due posti salvezza. Eppure, dato il livellamento dei valori, specie nella salvezza che è stata un gigantesco rallentatore, nessuno potrà avere memoria dell’edizione 2024-2025 come di una tra le più avvincenti, spettacolari, progredite

Cos’è un campionato, se non la parentesi d'intermezzo tra le illusioni del calciomercato permanente e quelle delle competizioni per squadre nazionali? Una suggestione collettiva, evocata dai fuochi d'artificio della contemporanea nella penultima giornata: e così sarà – quasi del tutto – pure per la 38esima, quando molti giochi sono ancora incompiuti. Novanta e più minuti schiacciati come hamburger sotto speed, amplificati dalle radioline e dai simulcast perché piace ai tanti nostalgici in servizio permanente effettivo nei network: gli orari coordinati, i recuperi vattelapesca, i gol modello grandine che modificano la classifica più volte in tempo reale, l’aleatorio caso di scuola dello spareggio da sbrigare con altrettanta velocità un lunedì in campo neutro, per poi stipare al sabato di fine mese l’esito delle ambizioni continentali dell’Inter. Al di là dell’asserita parità di condizione, sono sicuri che sia meglio così, anziché concentrare l’attenzione un incontro alla volta?

   

Sta comunque per andare in archivio il campionato più cavilloso e deciso al Var degli ultimi anni, e vai a spiegare che alla fine i favori e gli svantaggi si compensano, come cantavano i Beatles. Il calendario ha sempre ragione, e affrontare nelle ultime due tornate chi ancora vanta obiettivi tangibili è cosa ben diversa dal procedere scivolando nel velluto: per quanto, va detto, molto si sta impegnando sia chi giace a metà classifica, sia il Monza già in B. Ma dato il livellamento dei valori, specie nella salvezza che è stata un gigantesco rallentatore, nessuno potrà avere memoria dell’edizione 2024-2025 come di una tra le più avvincenti, spettacolari, progredite: si può dire che questo Napoli sia davvero la più forte? Probabilmente no, e lo stesso paragonare l’Inter eurofinalista alle sue versioni migliori, più complete e competitive. Ma il fondo Oaktree ha fatto una scelta, forse addirittura inconscia, e paga oggi i limiti estivi del suo mercato in attacco: in fondo, i partenopei due varianti ce le hanno, tra Raspadori e Neres, entrambi a loro modo decisivi.

 

Di note stonate, ormai, i carnet traboccano: dall’Atalanta che rimpiange una vetta mai così alla portata, al Milan fuori da tutto, il Torino che non sa spiccare il volo e l’Udinese sedutasi sul più bello, fino ai bassifondi e ai loro specifici errori. Too close to call quasi dappertutto, quando un palo, una parata con le unghie, un rigorino o mezzo piede in fuorigioco possono spostare sorti, milioni, introiti, cortei. È il tempo delle colpe, dei capri espiatori, del poteva essere. E mentre ci si lambicca a inquadrare la più recente evoluzione tattica,”quinti” come Denzel Dumfries e Álex Jiménez che diventano terze punte (coperti rispettivamente dall’immenso Nicolò Barella e da Ruben Loftus-Cheek a sdoppiarsi), un appunto per l’emozione più contagiosa: l’esodo bolognese verso lo stadio Olimpico di Roma e la finale di Coppa Italia sulle note di Lucio Dalla, “si muove la città” e non è un verso di una canzone, un modo di dire, una sciarpa. È l’essenza stessa del calcio che piace.

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