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No vela, sì party

Sport, cultura, gioia. Cosa vuol dire per l'Italia il successo dell'America's Cup a Napoli

Giuseppe De Filippi

Un piacere per gli occhi, una gioia per il cuore, un successo politico trasversale. Portare l’America’s Cup nel capoluogo campano, la nostra Capo Horn, non è solo una storia di riscatto: è un modello da replicare in fretta  

Dispiace solo per i grinder, gli atleti velisti che stanno lì a pedalare per dare energia alla barca e sono chiusi in uno spazio limitato senza vista. Concentrati sullo sforzo muscolare, perderanno panorami incomparabili durante la navigazione, tra Napoli, le isole, le punte che chiudono il golfo, Nisida, Pozzuoli. Per tutti gli altri, l’America’s Cup napoletana sarà un godimento per gli occhi e per il cuore e anche per la passione sportiva, perché a detta di chi ne capisce il campo di gara tra Bagnoli e Posillipo è uno dei più impegnativi al mondo. Il colpo vincente del governo è indiscutibile. Una selezione rapida, senza fare troppa pubblicità, e poi la scelta, che è tutta in capo ai detentori neozelandesi, caduta su Napoli. Dalle reazioni locali e nazionali si percepisce che c’è stato gioco di squadra. Con una linea unica tra Palazzo Chigi, il ministro Andrea Abodi, Sport e Salute (la società che promuove le attività sportive), il comune di Napoli e la regione Campania. Nessuno per traverso, anche se tra regione e comune il secondo mette più entusiasmo nella celebrazione del risultato, e mancanza totale, almeno per ora, di No Vela. E una certa coerenza con un altro impegno assunto circa un anno fa da Giorgia Meloni anche andando a sfidare l’ostico Vincenzo De Luca, con quella autopresentazione passata alla storia degli scontri verbali tra politici, e cioè l’impegno per il recupero di Bagnoli. E questa è una sfida che assomiglia ai primi tentativi di passare a vela Capo Horn.

Dopo la chiusura del gigantesco impianto Italsider (già Ilva) l’area del litorale dal 1993 ha avuto un interessamento enorme da parte delle migliori menti dell’urbanistica e dell’architettura, detto senza alcuna ironia, senza però che si riuscisse a realizzare una apprezzabile riconversione o anche solo a mostrarne l’avvio verso un possibile successo. C’è stata una prima fase con l’obiettivo limitato di ridurre la diffusione nell’ambiente, soprattutto nel mare e nelle falde, dei metalli pesanti accumulati in anni di produzione siderurgica e con tecniche certamente datate rispetto ai migliori standard di oggi. Poi il tentativo, con Bagnoli Futura, di dare una guida, una visione coerente. Tutto finito a sbattere contro ostacoli locali, inefficienze senza responsabili, contrasti strategici. E con disponibilità finanziarie buone per scandalizzare ma insufficienti per completare davvero qualcosa di utile. Poi l’esperimento riuscito della Città della Scienza, sia pure in una frazione limitata della grande area da recuperare, con il riuso non degli spazi della fallita Italsider ma di un grande edificio rimasto lì vuoto dopo un altro fallimento, quello di Federconsorzi.  Poi un rogo veloce e distruttivo non ne lasciò nulla, un peccato perché nella sua breve esperienza aveva avuto quasi un milione di visitatori e aveva attivato molte iniziative collaterali. 


Da lì in avanti la sensazione di un destino inemendabile, con una serie di nomine e di mandati da nessuno dei quali è venuta l’attesa svolta. E anche la classica denuncia per disastro ambientale, l’inchiesta, i titoloni e poi la consueta assoluzione generale a cose fatte e dimissioni ottenute. Si deve tornare a un anno fa per vedere un passo, obiettivamente coraggioso, con cui il governo ha provato a rimettere in movimento il processo di recupero di bagnoli. Il decreto coesione della fine di aprile 2024 dava un miliardo e 200 milioni (cioè finalmente una disponibilità proporzionata ai lavori molto complessi da affrontare) indicando l’intero comprensorio di Bagnoli-Coroglio come area interessata. Gli obiettivi comprendono il completamento della bonifica del parco urbano, le infrastrutture energetiche e delle telecomunicazioni, la rete idrica, le strade, la rimozione degli scarichi industriali ancora presenti, la bonifica degli arenili e gli interventi di riqualificazione urbanistica della zona litoranea. Parlando a Bagnoli Meloni ha ricordato i tentativi del passato senza liquidarli con facile scandalismo, ma riconoscendo che a mancare erano sempre state le risorse e non la buona volontà.

Con il decreto ora pienamente operativo sono arrivati fondi a sufficienza, vincolati a usi e modalità di spesa e affidati a un’efficiente catena di controllo. Mentre ora si aggiungeranno anche altri finanziamenti, con il coinvolgimento di privati, per attrezzare Bagnoli come base per le regate del 2027. Ci sono già studi, costruiti su esperienze simili nel mondo, che indicano in 700 milioni di euro l’effetto sull’area, tra opere, servizi e turismo. Il sindaco Gaetano Manfredi è entusiasta: “Quando ho visto gli occhi dei neozelandesi davanti al nostro golfo ho capito che ce la potevamo fare, ma la certezza la ho avuto solo quando ho capito che avremmo battuto la ricca e agguerrita concorrenza araba”. Allora, ogni tanto, tra una sudata e l’altra, fate affacciare anche i grinder per vedere lo spettacolo.

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