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Il Foglio sportivo

L'uomo che ispirò Rocky

Fabio Tavelli

Era davvero serio quando diceva alla moglie che avrebbe dormito con il Campione del mondo, lui era convinto di potercela fare. Chuck Wepner e la sua smargiassata finita malissimo contro Ali

“Prendi questi soldi, baby. Cerca in città un negozio con la migliore lingerie da notte e compra un abitino sexy. Domani dormirai con il Campione del mondo dei pesi massimi”. Era più forte di lui la tentazione della smargiassata. Lo chiamavano “Bayonne bleeder”, il sanguinolento di Bayonne. Peccato per lui che tutto il sangue che veniva versato sul ring in sua presenza appartenesse proprio a lui. Che evidentemente aveva una certa fragilità nei capillari del viso. Qualcuno al termine della sua carriera si prese l’onere di contare a uno a uno tutti i punti di sutura che il ragazzo di Bayonne era stato costretto a farsi praticare dopo ogni incontro finito non benissimo. Il conteggio si fermò a 329, record considerato imbattibile quanto l’8,90 nel lungo di Beamon a Città del Messico nel 1968. 

Ma anche i record imbattibili a volta vengono superati. E a farlo fu l’italiano Vito Antuofermo, altro eroe dei corpo a corpo, che si fermò, si fa per dire, a 359. Chuck Wepner era pronto per affrontare quello che nella sua mente il giorno dopo sarebbe stato l’ex Campione del mondo dei pesi massimi. Muhammad Alì non combatteva dalla notte di Kinshasa contro Foreman. Era il 30 ottobre del 1974. Don King, l’organizzatore con i capelli elettrici (e molto altro), aveva bisogno di piazzare in calendario un incontro in primavera, in attesa di rimettere Alì sul ring per la terza sfida con Frazier (si sarebbe disputata a Manila nell’ottobre del 1975). Wepner non era uno sconosciuto, anzi. Era il numero 4 del ranking mondiale. Trentasei anni non portati benissimo, capigliatura non uniforme con attaccatura decisamente alta, baffo anni Settanta, Chuck era soprattutto alto (1,95) e pesante (96 kg). Aveva dalla sua anche il fatto di essere bianco e Don King sapeva perfettamente che organizzare una sfida tra un nero e un bianco aveva già un vantaggio competitivo. Alì fece spallucce quando seppe di dover incrociare i guantoni con questo armadio a quattro ante. Dopo aver battuto Foreman, Muhammad si considerava invincibile. Si preparò con scrupolo, ma senza il famoso corollario di battute contro l’avversario e non diede granché spazio alla sua non piccola anima di showman secondo il quale gli incontri si vincevano prima di disputarli. 

Wepner invece ci diede dentro, consapevole del fatto che quell’occasione sarebbe passata una volta sola. Era davvero serio quando diceva alla moglie che avrebbe dormito con il Campione del mondo, lui era convinto di potercela fare. Il 24 marzo del 1975 al Richfield Coliseum in Ohio suona il primo gong di un incontro dove i bookies concedono allo sfidante davvero pochissime possibilità. Per incassare qualche soldo in più dalle televisioni Don King aveva venduto il match come equilibrato, garantendo ai broadcaster che avrebbero potuto piazzare parecchi spot tra un round e l’altro. La condizione, chiaramente, era che Alì non sistemasse la faccenda in pochi minuti. E Muhammad questa cosa la sapeva perfettamente. Iniziò quindi dalla prima ripresa a danzare e a colpire Wepner senza affondare troppo i colpi. D’altronde il suo “vola come una farfalla, pungi come un’ape” era perfetto per cuocere a fuoco lento un bestione come Wepner. Che provava a tenere il centro del ring come fanno di solito i picchiatori e si affidava al suo diretto destro. Ma Alì era troppo veloce per lui e troppo intelligente per cadere nella tentazione del confronto ravvicinato. Sin dai primi jab alla figura le arcate sopracciliari dello sfidante iniziarono a gonfiarsi e ad emettere i primi fiotti di sangue. Alì scherza, fa roteare il pugno, prende un po’ in giro il suo sfidante. Che non si offende e continua imperterrito a cercarlo con il suo destro, il più delle volte andando fuori bersaglio. 

Don King a ogni gong conta idealmente i soldi che sta incassando. Quelli da dare ai pugili sono mezzo milione al campione e centomila allo sfidante. Wepner è già una maschera di sangue, incontri del genere oggi sarebbero stati interrotti quasi subito. Nel 1975 invece si andava avanti senza problemi. Alì ha in mente di tirarla in lungo fino almeno al decimo round, ha già un vantaggio abissale sul taccuino dei giudici ma vuole chiudere con un Ko e non ai punti. Alla nona ripresa accade qualcosa di imprevedibile. I due si scambiano qualche colpo durissimo in un corpo a corpo e il piedone di Wepner si appoggia non proprio in maniera leggiadra su quello di Alì. Che rinculando verso le corde nel suo classico modo di appoggiarsi trova un blocco inatteso. Il campione rimane con il piede sotto quello di Wepner e perde improvvisamente l’equilibrio finendo clamorosamente al tappeto. Trattandosi di un evidente incidente l’arbitro non dovrebbe contare l’uomo a terra, ma attendere che si rialzi e dare di nuovo il via al confronto. Peccato che di questa trattenuta con il piede il signor Mario Perez non abbia proprio visto niente e una volta allontanato Wepner il suo conteggio è partito come da regolamento. 

Lo sfidante, incredulo ma come sempre un po’ spaccone, si dirige verso il suo angolo con un sorriso a tutta faccia (sanguinante, sempre e comunque). “L’ho messo al tappeto, l’ho messo al tappeto!”, urla Chuck verso i suoi secondi. Alì al tappeto era andato solo due volte in vita sua. Una a Londra contro Henry Cooper (bianco come Wepner) nel 1963, ma colui che si chiamava ancora Cassius Clay sostenne di essersi distratto avendo visto Liz Taylor a bordo ring, e l’altra nel primo match della trilogia contro Frazier (che Alì perso ai punti) nel 1971. “Sì, l’hai buttato a terra”, gli fa eco il suo allenatore, “ma guarda che si è già rialzato e mi sembra anche un po’ incazzato”. In effetti alle spalle di Wepner si stagliava nuovamente l’immagine del campione, di nuovo in piedi, ma soprattutto motivato come un toro a farla pagare cara al gigante di Bayonne. Che però, nonostante la grandinata di pugni che Alì scaricava in serie alternando jab sinistri a diretti e montanti con il destro, riusciva stoicamente a resistere. 

La faccia di Wepner sembra un quadro di un pittore astrattista, il sangue gli cola da ogni dove eppure, forte sulle gambe e coraggioso al limite dell’autolesionismo, lo sfidante  vuol finire in piedi. E ce l’avrebbe anche fatta se Alì alla quindicesima e ultima ripresa non trovasse un sinistro definitivo. Wepner però si rialza ancora, mancano solo 20 secondi alla fine di questo supplizio. Ma il signor Perez teme che un altro pugno possa mandare Wepner direttamente in maxillofacciale. Lo abbraccia e decreta la fine delle ostilità: vince Alì per Ko alla quindicesima ripresa. L’incontro era trasmesso dalla tv americana, ma poteva anche essere seguito nei cinema. In una sala di Philadelphia uno squattrinato attore senza grandi speranze per il suo futuro si illuminò vedendo il coraggio di Wepner. Tornato a casa si mise a scrivere una storia ispirandosi al sanguinolento di Bayonne. Quell’attore si chiamava Sylvester Stallone e quando Wepner fu in grado di essere presentabile in volto dopo i pugni presi da Alì volle incontrarlo per chiedergli i diritti per fare di quella storia un film. Propose a Wepner di scegliere tra 70mila dollari subito (per il match con Alì ne aveva presi centomila) oppure di aspettare l’uscita del film e ottenere l’1 per cento degli incassi. Come era bravo a incassare pugni, Chuck pensò di essere bravo anche a incassare i 70mila maledetti e subito. Avesse aspettato qualche mese si sarebbe presentato da Stallone a chiedergli l’1 per cento dei 225 milioni che Rocky incassò il primo anno. Per tacer poi dei sequel…

Ma manca ancora un finale a questa storia. La signora Wepner quel completino lo andò davvero ad acquistare, forte del fatto che avrebbe dormito con il Campione del mondo dei pesi massimi? Certo che sì, non solo lo acquistò, ma si presentò anche agghindata di tutto punto al cospetto del marito, che giaceva sul letto con il volto tumefatto e chissà quali altri dolori sul resto del corpo. Con perfetta scelta scenica la signora Wepner uscì dal bagno e accavallando leggermente la gamba si rivolse al malcapitato marito: “Ehi spaccone, vado io in camera da lui o viene qui lui da me…?”. Per Wepner fu il Ko definitivo.