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Sorprese a canestro

Paradossi Nba. Da New York a Denver, vince chi gioca di più

Francesco Gottardi

Gara-1 ha un peso relativo. Eppure non solo hanno vinto tre squadre sfavorite su tre, ma l’hanno fatto dopo un percorso molto più dispendioso rispetto alle avversarie. Una tendenza comune: ai playoff giocare spesso e punto a punto può fare la differenza

Ribaltoni Nba serviti. La prima a sparigliare le carte è stata Indiana, capace di sbancare Cleveland nella notte di domenica. A seguire – in attesa di Golden State –, ecco New York e Denver: corsare a sorpresa sui parquet di Boston e Oklahoma City. Se tre indizi sono una prova, le favorite di questi playoff saranno chiamate a un compito più intricato del previsto. O meglio: a superare il primo grande scoglio di una stagione fin qui sul velluto. Ce la faranno? Perdere gara-1 non è certo la fine del mondo. Ma è un richiamo all’ordine e al salto di qualità. Da Tatum a Shai, passando per Donovan Mitchell. Quando il gioco si fa duro…

  

L’assaggio di queste semifinali di Conference parla chiaro. Non soltanto perché le squadre in casa arrivavano col vento in poppa – i Cavs col miglior score a Est (più la pratica Miami archiviata sul 4-0 e oltre 30 punti di scarto medio), i Thunder pari ruolo a Ovest e i Celtics campioni in carica reduci dal record di sempre per triple segnate in una regular season (contro i Knicks ne hanno sbagliate 45: altro record). Ma soprattutto, tutte le loro avversarie erano spremute fisicamente e mentalmente da un primo turno di ben altro spessore. I Pacers di Haliburton provenivano sì dal 4-1 contro Milwaukee, ma al termine di una serie energivora e di una gara-5 ribaltata allo scadere. Ancora più tirato il barrage fra New York e Detroit, con gli arancioblù a spuntarla in 6 partite grazie al fattore Brunson nel clutch time. E che dire infine di Nuggets-Clippers? La serie più bella e combattuta finora, con continui ribaltamenti d’inerzia fino al 4-3 definitivo piazzato da Jokic e compagni.

 

Tutte loro, al gradino successivo, hanno rovesciato il pronostico con pieno merito. Così il riposo dei favoriti si è rivelato calo di tensione, mentre i minuti nelle gambe degli sfidanti si sono trasformati in adrenalina. Non è una rarità nella pallacanestro. Si lasci perdere la lunghezza della stagione regolare, estenuante e per nulla indicativa – 82 partite in gran parte sotto ritmo, sotto tono. Ma quando la posta in palio entra nel vivo – leggasi playoff –, giocare senza sosta può perfino diventare un vantaggio. E viceversa. I rampanti Thunder hanno avuto ben dieci giorni per preparare il match contro Denver: l’hanno buttato via nel finale, che la banda Jokic al contrario ha sfruttato a meraviglia nonostante le fatiche di gara-7, soltanto 48 ore prima. A Boston, invece, i Knicks hanno avuto addirittura la lucidità di vincere ai supplementari. Stanchezza dove?

 

Un paradosso che va ben oltre la stagione in corso. E può valere un anello: nel 2019, l’underdog Toronto si impose contro i lanciatissimi Warriors per 4-2, nonostante due partite in più alle spalle nel resto dei playoff (e un’epica rimonta in finale di Conference). Stesse storie in Europa. Due anni fa il titolo continentale andò al Real Madrid, che per tutta la fase a eliminazione diretta sembrava avere un piede fuori dal torneo. Mentre in Italia, l’ultimo scudetto prima del duopolio Milano-Bologna fu festeggiato dalla Reyer Venezia in 17 gare – il massimo possibile, contro Sassari giunta in finale col minimo. Della serie, vincere aiuta vincere. Ma farlo sul filo di lana, talvolta anche di più.

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