
Ansa
Il Foglio sportivo
Lo scudetto al pomodoro di McTominay
Il calciatore scozzese, arrivato al Napoli dopo anni di sacrificio al Manchester United, sta diventando fondamentale per il club, contribuendo al possibile scudetto con la sua grinta e adattabilità. La sua evoluzione da mediano a giocatore decisivo e il legame con Napoli lo rendono protagonista inaspettato
Con quella faccia da cartone animato, gli zigomi pronunciati e la mandibola squadrata, nel bel mezzo di una frase in inglese, Scott McTominay ha improvvisamente squarciato il velo di Maya e mostrato a tutti un tratto della sua napoletanità acquisita, citando il compagno Pasquale Mazzocchi per autoassegnarsi un nuovo soprannome. E così, dopo una doppietta al Toro che profuma di scudetto, il gigante scozzese è diventato, di colpo, McFratm, pronunciato in un napoletano impeccabile.
È stato per anni un equivoco, incastrato a lungo nella definizione di centrocampista di pura rottura. Non doveva nemmeno arrivare al Napoli, che aveva praticamente chiuso per Brescianini, ma dopo un giro di incomprensioni non se ne era fatto più nulla anche a causa del repentino inserimento dell’Atalanta. In mezzo c’era stata una bufera, gli azzurri che prendono tre schiaffi in casa del Verona a metà agosto, quando il calcio non è ancora leggibile fino in fondo pur essendo a tutti gli effetti parte del calendario che attribuisce punti, pesanti quanto quelli disseminati lungo il percorso del resto dell’anno. Quel passaggio a vuoto ha consentito ad Antonio Conte di alzare la voce, di battere i pugni sul tavolo, di vedersi consegnare non solo il fidato Romelu Lukaku, ma anche questo blocco di granito che lo ha convinto a rinunciare a ciò che pareva imprescindibile nel progetto estivo, la difesa a 3. Non si poteva, non si può, non si deve rinunciare a questo McTominay e allora subito in campo appena possibile: un quarto d’ora a Cagliari, il debutto da titolare allo Stadium contro una Juventus che pareva lanciatissima. Ma era calcio d’agosto, appunto.
Lo scozzese non ha avuto bisogno di un lungo apprendistato, just enough education to perform, come il titolo di un album degli Stereophonics che uno dei re di Old Trafford, Wayne Rooney, porta tatuato su un braccio. Allo United, McTominay ha dato tutto quello che aveva. Lo ha fatto sfidando gli stereotipi e le convinzioni degli allenatori che si sono dati il cambio in una delle società meno decifrabili dell’ultimo decennio, adattandosi a richieste che gli parevano lunari fin dall’arrivo in prima squadra. “Il mio punto di forza è sempre stata la capacità di arrivare in area all’improvviso, segnare, creare problemi alle difese avversarie. Eppure continuavano a utilizzarmi come un mediano o come centrale difensivo. Ma quando stai giocando per il Manchester United e hai vent’anni, non puoi bussare alla porta del manager e dire che ti aspetti di giocare nel ruolo di Pogba. Devi saper stare al tuo posto e fare quello che ti viene chiesto, essere pronto”, ha detto di recente in un’intervista a The Athletic, ripercorrendo il lungo cammino che lo aveva portato, finalmente, a giocare nel suo ruolo prediletto anche con la maglia dei Red Devils, trovando quei gol che per anni aveva consegnato solo all’amata nazionale scozzese. Per troppo tempo c’erano stati due McTominay in un corpo solo: quello sacrificato a Manchester e quello libero di scorrazzare come guastatore con la Scozia. Stagioni che iniziavano e finivano nello stesso modo: Scott indietro nelle gerarchie a inizio anno, teoricamente soppiantato da nuovi e strombazzati arrivi, e poi irrinunciabile, qualunque fosse la posizione, alla fine della corsa. Sempre pronto a dire la sua, a cogliere ogni singola, minuscola opportunità.
Nella scorsa estate, stufo di questa tiritera che aveva ripreso vita anche dopo la miglior stagione della sua carriera in termini realizzativi, Scott ha detto basta. A Conte non è parso vero. Si è ritrovato per le mani una sorta di Arturo Vidal 2.0: così come il cileno aveva assunto immediatamente un ruolo cardine nella sua prima Juventus, garantendo al tempo stesso tanta lotta e altrettanto governo, anche lo scozzese non ha avuto troppe difficoltà nell’allinearsi al pensiero calcistico del condottiero leccese. McTominay lo trovi ovunque: nelle battaglie che si ingaggiano a centrocampo per avere la meglio su un pallone alto, sulla trequarti quando c’è da fare da sponda per un compagno, nell’area di rigore avversaria, a far valere il fisico e una capacità innata di mettere il piede o la testa una frazione di secondo prima degli avversari. Si è messo subito a studiare, non solo la lingua, ma anche ciò che serve per adattarsi a un calcio diverso da quello inglese: “Qui ho dovuto affrontare, fisicamente e tatticamente, alcune delle partite più complicate della mia carriera”. È nato pronto, Scott McTominay, e grazie a questa prontezza sta trascinando il Napoli verso il quarto scudetto della sua storia. Solo una cosa lo ha sorpreso: “In Inghilterra non li avevo mai mangiati, erano acqua colorata. Ma i pomodori di Napoli sono incredibili”.