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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA
Il calcio che mi piace
L'insofferenza verso la verbosità di comici e cantanti, il rifiuto per il calcio fatto di possesso sterile e passaggi infiniti. C'è bisogno di sintesi, sorpresa e bellezza essenziale, che può nascere anche da una sola azione verticale
Mi autodenuncio: a sessant’anni, con una inevitabile esperienza alle spalle, mi annoia quasi tutto. La maggioranza dei comici non mi fa ridere, tranne quelli che si presentano sul palco senza l’ansia di piacere, cavalcando situazioni surreali, privi di quella verbosità che riempie senza dire, provocando un rumore, un cra cra, che scongiura la risata. L’ultimo che mi ha divertito è stato Massimo Bagnato, in “Festivallo”, il programma notturno di Frassica. Il suo non senso mi ha fatto saltare sul divano, ed era oltre la mezzanotte. I cantanti non mi fanno piangere (amo piangere), soprattutto quelli che recitano poesie, magari anche sincere, ma senza una benché minima idea musicale intorno (sarebbe meglio dire dentro). Sono i rapper? I trapper? Chiamateli come vi pare. Si perdono in chiacchiere, giochi di parole e nacchere (gioco anch’io), alla ricerca dell’effetto, il fuoco d’artificio verbale che non esplode mai e si perde in piccole lettere.
Proseguo a bofonchiare, cercando di tirare una somma e insomma, darvi un’idea più precisa di quello che voglio dire. Non mi conquistano i logorroici, di cui il mondo è pieno, soprattutto a Milano, dove la gente parla parecchio di quello che fa con un tale zelo dedicato ai dettagli da lasciare di stucco per la noia che infonde. E per questo motivo, amando la sintesi più di ogni altra cosa, mi piace il calcio fatto di poche trame. Osservando la Champions League, mi accorgo di essere ormai una specie di panda, l’animale con gli occhi cerchiati che pare sia in via d’estinzione (ma forse non è vero), in quanto la maggioranza sostiene un gioco fatto di mille passaggi, mentre io lo detesto. Dopo i primi tre minuti di Arsenal-Paris Saint-Germain, volevo cambiare canale. La squadra di Luis Enrique stava tenendo palla in maniera statica, titicche-titocche, e tutti fermi. Poi l’Arsenal ha chiamato un pressing scriteriato e il Psg è ripartito come un razzo scatenando un triangolo scaleno, Dembelè-Kvaratskhelia-Dembelè che ha portato il Paris al vantaggio e quindi alla vittoria. Ecco la sintesi, ho pensato!
Non discuto la bravura degli allenatori, son tutti dei fenomeni, parlo della traduzione espressiva del loro calcio. E quindi amo l’Arsenal, la prima squadra al mondo con un portiere volante, dotata di un poeta, lui si, Merino, che inventa gioco anche dal niente e va spesso in verticale. E amo anche la risolutezza dell’Inter, che con la metà del talento (e dei soldi) del Barcellona, gli tiene testa e al ritorno chissà, e il pragmatismo di Ranieri, che mette in campo una testuggine impenetrabile da cui dipartono spingarde veloci e offensive. Magari sbaglio, e anzi un po’ me ne vergogno, ma che ci posso fare: se vedo una linea retta io guardo l’infinito, che se si storce alla ricerca del superfluo, magari mi distraggo e penso ai fatti miei.



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