
Ansa
Il Foglio sportivo
I nuovi proprietari del calcio
Luka Modric è diventato co-proprietario dello Swansea City, portando esperienza e visibilità al club. La scelta riflette la crescente tendenza tra i calciatori a investire nel calcio anche durante la carriera
Luka Modric, quando gioca, vede zone di campo che gli altri non riescono a vedere, inventa passaggi che nessuno può immaginare. Crea bellezza, se necessario anche dal nulla. E non si è ancora trovato un avversario in grado di anticiparne le intenzioni: tutto accade troppo velocemente e solo nella sua testa, prima che venga mostrato al pubblico. Non c’è, evidentemente, nessuna ragione per cui possa essere diverso fuori dal campo. Infatti, ora è co-proprietario di una squadra di calcio: all’improvviso, con la stessa rapidità e imprevedibilità di quando passa la palla al compagno libero che ha visto solo lui, ha annunciato di essere entrato nello Swansea City, formazione del Galles meridionale che gioca in Championship, il secondo campionato britannico. Investor and co-owner, annuncia il club, che dallo scorso novembre è diventato di proprietà di uomini d’affari americani.
Ora, però, è giusto chiedersi alcune cose. Prima di tutto se questo è un viatico al ritiro di uno dei più grandi calciatori di sempre. Risposta: no, non è ancora previsto. Modric ha il contratto in scadenza a fine stagione con il Real Madrid, ma sta cercando di firmare per un altro anno, per giocare ancora un po’ ad altissimo livello e finire con il Mondiale del 2026 con la sua Croazia. Certo, a settembre compirà 40 anni, ma intanto ha giocato 51 delle 56 partite del Real di questa stagione e 8 partite con la Croazia. E no, non prevede di andare a giocare in Championship, quindi non occuperà il centrocampo della Swansea City, lì il suo ruolo sarà un altro. Ecco, l’altra cosa da capire è quale sarà il suo compito: Modric entra (con una quota intorno al cinque per cento) in una società che al momento si regge sul sostegno economico dei proprietari e vuole creare una struttura autosufficiente, e ha quindi bisogno di ampliare i propri ricavi e la propria attrattività anche verso i suoi tifosi (al momento la media spettatori è di 15mila a partita, in uno stadio di 21mila: il dato più basso dal 2009) e mette la sua immagine a disposizione, il suo seguito (ad esempio: 37,2 milioni di follower su Instagram sono un notevole bagaglio di visibilità) al servizio, veicola il messaggio che si stia pensando un modo nuovo di fare calcio per una proprietà che è giovane, nel campo. Modric porta il suo denaro, parziale investimento del suo patrimonio netto quantificabile in quasi 65 milioni di euro, ma anche la possibilità di rendere una squadra di media classifica della seconda divisione britannica un prodotto globale. In più farà da ponte per collaborazioni e per la ricerca di talenti.
Ma c’è una domanda più grande delle altre: perché Modric sceglie lo Swansea City? Nella sua prima dichiarazione il campione croato ha esaltato la “forte identità” del club, “l’incredibile fan base e l’ambizione di competere ad alti livelli”, ma certo non può dire di conoscere a fondo una squadra che, nella sua carriera, ha incrociato solo due volte tra il 2011 e il 2012, quando giocava nel Tottenham. Per incontrarsi la società gallese e il centrocampista galattico hanno fatto ciascuno un passo verso l’altro: lo Swansea cercava un investitore che elevasse l’immagine internazionale del club quasi come ha fatto il Birmingham City con Tom Brady, sette volte vincitore del Superbowl e ora investitore nella società che ha appena vinto la League One, il terzo campionato inglese; Modric, invece, ha voglia di misurarsi con una sfida nuova e sperimentare la sua creatività anche in un altro ambito, ma sempre nel calcio, reinvestire un po’ del denaro che una carriera come la sua (rimane il giocatore più anziano a essere sceso in campo nel Real Madrid, ma soprattutto il più decorato della storia dei madrileni, con 28 trofei in bacheca, oltre al pallone d’oro).
Qui Modric apre un altro pezzo di riflessione, sul post carriera dei calciatori moderni, che sempre in numero maggiore decidono di investire i propri guadagni (per alcuni una minima parte, spenderli tutti potrebbe essere impossibile) diventando proprietari di società che poi si impegnano a rendere famose e, se possibile, anche macchine da ricavi, visto che il pallone aumenta sempre di più il suo bisogno di entrate commerciali, avendo pressoché raggiunto il massimo possibile dalle altre fonti di guadagno. Anzi, nemmeno post carriera, visto che molti entrano nei club mentre sono ancora in attività. Ad esempio, Kylian Mbappé ha acquistato a settembre scorso l’80 per cento del Caen: non è il periodo migliore per raccontarlo perché la squadra francese è ultima nella Ligue 2, il secondo campionato francese ed è retrocessa, ma in genere non sembra il periodo più fortunato per parlare di Mbappé, contestato dai tifosi del Caen e non proprio d’aiuto nella confusa stagione del Real Madrid. Ci sono anche i due Ronaldo: il Fenomeno è proprietario del Valladolid in Liga (che però è ultimo in classifica) e lo è stato anche del Cruzeiro in Brasile, comprato nel 2021 per 73 milioni di euro, risanato e venduto un anno fa per 110 milioni, mentre Cristiano sembra intenzionato nel prossimo futuro a rilevare il Valencia, come investitore in una cordata che comprende la famiglia reale saudita, in particolare il principe Mohamed Bin Salman.
L’elenco comincia a diventare lungo (Ibrahimovic è titolare del 24,5 per cento delle quote dell’Hammarby, club della massima serie svedese, Milito è il presidente del Racing, Maxi Lopez ha appena acquistato il Paradiso, società svizzera e via contando) ma il precursore è probabilmente David Beckham, che ha fondato l’Inter Miami e ha lavorato sull’impatto globale di questa squadra fino a potersi permettere Messi. Anche in Italia ci sono ex giocatori che hanno investito nel calcio: Cesc Fabregas ha giocato nel Como, lo allena tutt’ora ed è azionista di minoranza della società posseduta dai ricchissimi fratelli Hartono, ma anche per l’uno per cento da Thierry Henry. Molti lo fanno per garantirsi una seconda vita, per sfruttare la propria immagine e la propria esperienza. Anche per investire una parte dei guadagni e continuare a prosperare, per rendere alcuni club secondari dei marchi globali, ma mettendosi a disposizione del mondo che li ha resi ricchi e famosi. Poi ci sono anche i sentimentali: come Daniele De Rossi, che da poco ha rilevato l’Ostiamare, che gioca in Serie D, ma che soprattutto è la squadra della borgata in cui è nato e alla quale è legato in modo indissolubile. Tutti, per quanto mossi da interessi diversi, sembrano però dare un segnale: il calcio scommette sul suo futuro, i primi a crederci sono i fenomeni del presente.