il Foglio sportivo
“Oggi il mio Perugia sarebbe da Champions. Crozza mi ha rovinato”. Parla Serse Cosmi
“Partire dai dilettanti è stata la mia fortuna. L’imitazione del comico fu una bellissima vicenda. Ma ha devastato la mia carriera. Ormai ero diventato la macchietta del ‘te spezzo una gamba’”. Intervista all'allenatore umbro, in attesa della prossima chiamata. “Se arriverà sarò pronto"
C’è l’allenatore figlio della gavetta: “Partire dai dilettanti è stata la mia fortuna”. E c’è quello ingoiato dal personaggio. “L’imitazione di Crozza personalmente fu una bellissima vicenda. Ma ha devastato la mia carriera: non importa cosa facessi sul campo, ormai ero diventato la macchietta del ‘te spezzo una gamba’”. Ci si convive, Cosmi? “Il calcio è fatto così. Di racconti, di miti. Nel bene e nel male, a seconda della narrativa in corso, si viene ammirati o detestati”. Si pensi a Gotti, a Malesani: idoli e bersagli del web. “All’inizio m’infastidiva. Poi me ne sono fatto una ragione: mi sono sempre sentito un grande privilegiato”. L’uomo che portò a vincere in Europa il Perugia, la squadra della sua città. Quasi 250 panchine in Serie A. Oltre trent’anni di carriera. Negli ultimi due però si è fermato. “Mi sento molto più impegnato di prima: da allenatore le energie sono rivolte a un compito ben delineato, ora invece, per un iperattivo come me, c’è modo di fare tante cose. Forse troppe. Non solo di pallone.”. In attesa della prossima chiamata. “Se arriverà sarò pronto. Altrimenti non devo farmi trovare impreparato. Del calcio mi manca solo lo spogliatoio. E le conferenze stampa: momento meraviglioso”. Sul serio? “Certo. Mi è sempre piaciuto capire il mondo attraverso le domande altrui. Per fortuna me ne hanno fatte tante”.
Proseguiamo, allora. Oggi Serse Cosmi ha 58 anni: “Parlo di calcio su Radio Serie A, ho altri progetti in cantiere. Nel tempo libero padel e musica”. Virali pure le foto dell’allenatore dj. “Già. Ti vedono in console e scatta la notizia: ma la mia rimane una passione casalinga, tra house e techno. Poi però sono cresciuto con Umbria Jazz”. Nella sua Perugia. Lasciata la squadra – tolta “una brutta parentesi” in Serie B – il suo percorso da allenatore si è pian piano discostato dai riflettori. “Il giorno che chiuderò definitivamente col mestiere farò un consuntivo più concreto”, racconta al Foglio sportivo. “Ma già adesso posso dirmi felice: ho partecipato a tutte le coppe possibili e immaginabili, dalla Champions League all’Intertoto”, alzandola nel 2003. “Ho vissuto grandi pagine di calcio. E raggiunto insieme al Perugia dei risultati straordinari: un ottavo posto nei primi anni Duemila potrebbe tranquillamente valere il quarto nell’odierno il campionato. Con tutto il rispetto, eh: ma di Baggio, Totti e Del Piero non ne vedo più. Probabilmente all’epoca neanch’io mi rendevo conto del nostro exploit. Ora sono più consapevole e orgoglioso”.
Basta guardarsi attorno: Grosso, Liverani, Sogliano. Tra allenatori e ds, gli ex i ragazzi di Cosmi continuano a fare strada. “Non so se hanno imparato da me. Magari avranno tolto i difetti”, sorride lui. “Però noi iniziavamo la stagione con calciatori letteralmente sconosciuti: abbiamo avuto il primo cinese, il primo iraniano, il primo sudcoreano degli annali della Serie A”. Ma Mingyu, Rezaei, Ahn: l’ultimo, dannato Mondiale, ce lo ricordiamo tutti. “Mentre Nakata era il secondo giapponese. Così anche per un allenatore quell’ambiente era davvero una palestra di formazione umana e culturale. Perugia ha due università degli stranieri: sembrava fossimo in linea con la storia della città. E fra gli italiani altrettante situazioni improponibili e debuttanti: Grosso dalla C2, Baiocco e Liverani dalla C1, Pieri addirittura dalla Serie D. Però col tempo vedi dove sono arrivati. Avevano un destino diverso e ti senti contento di averli accompagnati: quei due, in Germania nel 2006, qualcosina hanno fatto”.
Il ricordo più limpido? “La vittoria a San Siro contro il Milan”, gol di Saudati e Vryzas, dicembre 2000. “In quella partita c’è tutto: tifo Perugia da quando sono bambino, lo andavo a vedere allo stadio e con Castagner in panchina aveva vissuto delle stagioni clamorose. Le migliori di sempre, con un secondo posto da imbattuti”. Mancava solo un tassello. “Quel Perugia aveva vinto su quasi tutti i campi. Però mai a Milano: essere il primo a riuscirci nella storia del club è stato il massimo. E una scommessa con me stesso”, ai tempi dei dilettanti. “Non avevo mai messo piede a San Siro: quando gli amici mi chiedevano di andare, io rispondevo che la mia prima volta sarebbe stata da allenatore”. Detto fatto. “Emozione indelebile. Ma pure il trofeo sul campo del Wolfsburg, guadagnandoci l’accesso alla Coppa Uefa: ci fermò soltanto il Psv di Robben e Kezman. Altri livelli, altro calcio”. Highlights sparsi. “Se penso a un secondo padre mi viene in mente solo Luciano Gaucci: un uomo particolare, di grande intuito, completamente diverso da come è stato raccontato”. Il campione passato fra le mani? “Dico uno che non c’è più: Fabian O’Neill. Aveva altri problemi, ma anche un potenziale immenso. Chi mi ha stupito però è Miccoli. Ne ho allenati tanti: Milito, Di Natale, Muriel. Nessuno però mi ha fatto divertire come Fabrizio”.
Ne ha anche vissute di cotte e di crude, Cosmi. “Ho disputato lo spareggio inter-divisione contro la Fiorentina – la delusione più atroce – a campi invertiti, perché c’era un concerto di Renato Zero a Firenze”, la fine di quel Perugia. “Sono salito in Serie A col Genoa e dopo tre giorni ci hanno retrocesso d’ufficio in C. Ma come la farsa di Venezia-Salernitana nient’altro: dalla salvezza acquisita a uno spareggio imposto dall’alto. Ero imbestialito, i tifosi pure. Tutt’attorno una serenità surreale. Poi ho capito: fallisce il Palermo, entrambe le squadre restano in B. L’unico a rimetterci, senza più contratto, sono stato io”. Serse mastica amaro. L’impresa incompiuta, invece? “Trapani. Vicini a un vero e proprio traguardo sociale”. Finì invece ai playoff, tra le lacrime di Serse che fecero il giro d’Italia. “Lacrime di stanchezza. E tanto dispiacere: sarebbe stato bello vedere quella città in Serie A”.
Anche oltre Perugia, Cosmi ha saputo lasciare il segno. Nonostante ‘Mai dire gol’. Perché prima di virare sulla politica, da Bersani e Zaia, un giovane Maurizio Crozza imitava l’allenatore. Uomo truce e voce roca, siparietto esilarante. Un giorno decide di prestarsi perfino Serse, con un cameo nei panni del figlio di sé stesso. “In un attimo mi ritrovai da telespettatore a protagonista: volevo far parlare di calcio in maniera diversa, pensavo che prestarsi all’autoironia fosse intelligente. Lì per lì mi divertii”. Poi arriva la tecnologia. “Facebook nasce nel 2004. Nel 2005 YouTube, nel 2007 l’iPhone: tre situazioni che avrebbero stravolto la mia immagine. Io rude e cattivo? Quando certe squadre mi chiamavano per appendere i calciatori al muro mi veniva da ridere: non sono fatto così. Ho sempre avuto un rapporto diretto coi miei ragazzi, la settimana prepartita era distesa. Certo, la domenica poi pretendevo il massimo: bastava un’espulsione, uno scatto, ed ecco che rispuntava la caricatura. Ho commesso degli errori anch’io, però quasi nessuno ha voluto più riconoscermi per quello che ero. L’inesperienza mediatica si paga”. Crozza lo sente ancora? “Ultimamente no. Però eravamo amici, ai tempi del Genoa”. E il Perugia? “Lo seguo. Ma allo stadio non vado più”. Perché aggiungere altre pagine alla storia.