Olimpiadi
L'atletica italiana, un bellissimo affare di famiglia. Tra geni e amore
Quanti figli e figlie d’arte nelle nostre medaglie pluri-etniche
L’atletica italiana sembra un affare di famiglia. Basato sull’amore che madri e padri si sono tenuti dentro, dopo essersene abbeverati a loro volta. Per convincere i figli non hanno neppure avuto bisogno di interpretare la parte del padre di Agassi che era arrivato a far odiare il tennis al figlio. Al contrario, loro hanno fatto innamorare dell’atletica i loro, tanto che, dopo aver provato anche altri sport, questi hanno scelto di tornare in pista. Questione di geni ereditati, ma anche di parole, di esempi, di modelli di vita che vengono proposti. Così la piccola Nadia comincia a correre a perdifiato e il piccolo Mattia già a cinque anni racconta che da grande vuole fare l’atleta e saltare. Saltare più in alto e più in lungo degli altri.
Loro sono il futuro che è già qui. Nadia Battocletti, doppio oro nel 5 e 10 mila metri all’Europeo, è arrivata quarta ai Giochi dopo essere stata medaglia di bronzo per un paio d’ore; Mattia Furlani con il bronzo nel lungo a 19 anni diventa il medagliato più giovane dell’atletica negli ultimi cent’anni. E poi c’è Larissa Iapichino di cui si parla da anni, ma che in realtà ha appena compiuto 22 anni e si è qualificata per la finale del lungo, la specialità che ha regalato due argenti olimpici a mamma Fiona e qualche soddisfazione a papà (che però preferiva il salto con l’asta). Lei è quella con più medaglie pregiate in casa, ma Nadia e Mattia hanno avuto l’esempio e la guida. Giuliano, il papà di Nadia, è stato un mezzofondista e maratoneta azzurro, bronzo ai mondiali juniores e oggi allena il figlio; Jawhara Saddougui, la madre, è invece una ottocentista marocchina da cui la figlia ha preso anche la fede musulmana. Marcello, padre di Mattia, è stato un discreto saltatore in alto, mentre la mamma, Khaty Seck, di origini senegalesi, è stata una velocista e oggi è l’allenatrice del figlio.
Di padre (e madre) in figli. Questa è l’atletica italiana oggi che è diventata anche l’immagine del paese che cambia, con tanti ragazzi figli di matrimoni misti, adottati o nati in Italia da genitori stranieri. Come Ali, semifinalista dei 100 l’altro giorno, nato a Como da padre ghanese e madre nigeriana e cresciuto ad Albate, affidato alla famiglia Mottin. Lorenzo Simonelli, campione europeo dei 110 ostacoli, romano della Cecchignola, è nato a Dodoma in Tanzania da padre italiano, Marco, antropologo e ricercatore Cnr, madre tanzaniana, Liliane, e a 5 anni si è trasferito in Italia dove studia scienze motorie. Yeman Crippa, il più famoso della pattuglia, è nato in Etiopia e a cinque anni è stato adottato dalla famiglia Crippa che ha portato a Milano anche gli altri fratelli, sorelle e cugini, rimasti orfani. L’atletica del futuro ha i loro nomi che, almeno in qualche caso, possiamo definire originali: Daisy, Zaynab, Mattia, Fausto, Emmanuel, Chiebuka, Larissa, Dalia, Yeman, Catalin, Ayomide, Dariya, Chituru. In un modo o nell’altro è sempre una questione di famiglia. O hanno ereditato i geni o sono diventati italiani per amore. Sono quelli che Jacobs, Tamberi e i ragazzi della 4x100 hanno fatto saltare sul divano tre anni fa. Adesso tocca a loro ispirare una nuova generazione per rendere infinito il ciclo della vita.
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