Il Foglio Weekend

Tutti da Sinner il sabato sera

Michele Masneri

Fateci caso: ormai se salite su un qualunque treno, metà dei passeggeri staranno guardando il tennis sul loro telefono, e l’altra metà prenotando campetti al telefono. Col solito trasformismo che ci contraddistingue, un popolo di tifosi e soprattutto allenatori di futbol è diventato un popolo di frequentatori del Roland Garros. 

 

Su Subito.it le ricerche di attrezzatura tennistica in due mesi hanno fatto come in mezzo 2023 (12.200 gli annunci). Al primo posto – parrebbe scontato – le racchette, seguite da palline, grip o anti-vibrazione. Perché non lo si guarda mica solo: tutti scendono in campo anzi campetto. A Milano si usa una app per tutto e dunque anche per prenotare spopola Playtomic che permette di trovare campi liberi e/o giocatori; così è tutto un correre da “Paolo Sarpi” a “NoLo” (North of Loreto), in campetti simili a risaie dopo la primavera monsonica di questo 2024 milanese; è insomma la versione aggiornata e corretta del campetto di Fantozzi, che con Filini prenotavano però analogicamente. 

 

Anche sull’abbigliamento abbiamo fatto progressi; se un tempo Filini fissava il campo “per la domenica più rigida dell’anno, dalle sei alle sette antelucane” perché gli orari migliori erano già presi da “direttori clamorosi, ereditieri e cardinali”, la nebbia non c’è più grazie al climate change. E l’outfit di Filini  –“gonnellino pantalone bianco di una sua zia ricca, scarpa da passeggio di cuoio grasso, calza scozzese e giarrettiere, doppia racchettina liberty da volano” –  sarebbe oggi forse un capo fondamentale della nuova collezione Alessandro Michele per Valentino. Chissà Fantozzi con “mutanda ascellare aperta sul davanti e elegante visiera verde con la scritta Casino di Saint Vincent”. Ma in mezzo, a questo trio,  la signorina Silvani funzionerebbe oggi come una Zendaya impiegata della Megaditta?

 

Perché un altro “boost” alla mania tennistica l’ha dato pure “Challengers” di Luca Guadagnino, che ha messo d’accordo tutti, seguaci di Sinner con quelli del threesome. La storia d’amore e racchetta tra l’orecchiuto Josh O’ Connor, la californiana Zendaya e il biondo Mike Faist vestiti Loewe e nella musica sincopata di Trent Raznor ha dato la botta finale trasformando uno sport di nicchia in un tormentone globale. 

 

Certo il tennis ha da sempre un lato come direbbero quelli della moda igonigo: dopotutto “tennis” è anche il nome di un famoso tipo di bracciali di diamanti, e cavigliere e “scarpe da tennis” come i nostri nonni chiamavano le sneaker, e maglioni di cotone con lo scollo a V. I tennisti poi generalmente sono meno tatuati, hanno fisici più armonici, non hanno fidanzate trucide come quelle dei calciatori, vivono di solito più appartati e non compaiono su Suv dorati o con orologi da fantastilioni ai polsi. 

 

Dunque, role model!  Gli Internazionali di Roma sono invasi, molti bambini e ragazzi si stanno riavvicinando all’aristocratico sport fino a pochi anni fa considerato vetusto ed elitario come il golf e i circoli  si stanno ripopolando. Al Canottieri Roma è ancora di rigore il total white, raccontano, pantaloncini e maglietta. Anche al blasonato Bonacossa di Milano pretendono il tutto-bianco (e lì alcuni giocatori vip sono su Playtomic e dunque qualcuno usa la app come LinkedIn, per fare networking). 

 

Ah, il Bonacossa, costruito 100 anni fa dall’omonimo conte, già padre degli Internazionali di Tennis e della Gazzetta dello Sport, che chiese all’allora giovane architetto Giovanni Muzio  – quello che fece anche la Triennale – di costruire la Club house: un villone all’epoca in aperta campagna oggi circondato dai grattacieli. Oggi la presidentessa si chiama Elena Buffa di Perrero! Molto frequentato da manager, come  Tommaso Corcos, capo del private banking di Intesa; e da Matteo Fabiani che per la banca fa la comunicazione; dal tycoon editoriale Stefano Mauri; dagli avvocati Andrea Tavecchio e Giovanni Pedersoli; da eredi Piaggio, dal radiogiornalista Simone Spetia… Anche a Roma ci sono circoli di grande tradizione, come il Parioli, con la leggendaria stirpe dei maestri Meneschincheri.    Al Belle arti, tra i boschi alle pendici di Villa Borghese, confermano pure lì: forte incremento, soprattutto tra i più giovani. “E pure i miei figli ora sono ancora più appassionati”, dice Nicole Covelli, responsabile comunicazione. “Tra i venti e trentenni spopola. Già c’era stato un incremento col lockdown perché era uno dei pochi sport che si potevano praticare all’aperto. Ma adesso funziona grazie soprattutto a Berrettini e Sinner”. 

 

Già, Sinner: nelle città e nelle campagne, garante di questa nuova koiné tennistica, campeggia gigante il suo faccione, tipo “Tentazioni del dottor Antonio”, nelle pubblicità della pasta, o del caffè, o del gestore di internet o di qualunque cosa. Nuovo ideale italiano, forse è anche un tipo di italiano nuovo, che piace e interessa perché differente. Il generale Vannacci se fosse coerente dovrebbe dire che i suoi lineamenti non corrispondono alla “razza italiana” e forse si riferiva a lui quando discettava di capigliatura rossa; ma ormai è a Bruxelles e chi si è visto si è visto. Eppure Sinner, il Sinner educato, non timido ma neanche sborone, in nessun caso maranza, cortese, che porge l’ombrello ma non l’altra guancia, rimanda un’idea di italianità che piace e forse ricorda la sobrietà di un altro altoatesino fatale, Gustav Thoeni. Anche perché tutto questo successo nel tennis arriva nel momento di massima impresentabilità del calcio, con la Nazionale che porta a casa una figuraccia dietro l’altra, e “il calcio italiano fa schifo” per dirla alla Cassano (il calciatore, ma sarebbe stato interessante sentire lo psicanalista). 


“A Milano non puoi andare a una cena che trovi questi signori sessantenni che hanno appena iniziato a giocare e ti devono raccontare per forza del loro diritto o rovescio”, dice al Foglio Matteo Codignola, già editor Adelphi e autore di raffinati libri sul tennis pubblicati dall’editore milanese. “Cominciano chiedendoti sempre la stessa cosa: ma questo Sinner? E poi ti coinvolgono in queste discussioni senza sapere neanche i fondamentali, senza sapere quante volte la pallina deve rimbalzare a terra. Speriamo che passi presto la mania”, dice Codignola. “Io sto pensando di orientarmi sul calcio, sto scrivendo un saggio sul tifo del Genoa per reazione”.


Tutta questa popolarità titilla poi la gelosia di qualcuno, e in questo il tennis è il nuovo calcio: ambizioni, fastidi, i vecchi tennisti brontolano, il secondo sport più praticato è il rosicare. La partita tra Sinner e Berrettini di scena mercoledì scorso a Wimbledon? Duello di 3 ore e 46 senza esclusione di colpi, nel quale il tirolese ha fatto la differenza vincendo tre tie break su tre. Ma ecco la vecchia gloria Adriano Panatta: “Come partita è stata bellissima dal punto di vista delle emozioni, ma tecnicamente non un granché. Hanno fatto un sacco di errori non forzati tutti e due e credo che non sia normale per Sinner sbagliare così tanto. Sembra quasi che lui rimanga sorpreso di giocare non al meglio e ieri non ci riusciva, anche per meriti di Berrettini”. Solo l’ultima delle esternazioni dei vecchi campioni, celebre quella di Pietrangeli dopo la vittoria di Sinner all’Australian Open. Complimenti di prammatica, ma “per battere i miei record,  gli ci vogliono due vite”. Il terzo sport preferito è l’invidia sociale e dunque il pòro Sinner è stato accusato pure d’essere evasore, solo perché residente come molti campioni a Montecarlo (e pure uno magari dei non molti che ci abita davvero e non incarica gli aiutanti di accendere le utenze a caso). Ma si sa che l’evasore fiscale è il terzo e definitivo stadio della celebrità italiana (brillante esordiente-star internazionale-appunto evasore, un paese con la coda talmente di paglia sul pagamento dei tributi che ebbe bisogno di arrestare Sophia Loren sulla scaletta dell’aereo). 

 

Il tennis oltre che invidia sociale produce anche emulazione. Dice sempre Codignola: “Sapendo che ero appassionato, un giorno alla Stazione Centrale mi trovai uno scrittore vestito tutto completo da tennis tipo Tenenbaum che sembrava aspettarmi e mi ricoprì di metafore tennistiche, mi venne il dubbio che era perché voleva pubblicare da noi”. Ci faccia subito il nome. Niente, è incorruttibile (nonostante Codignola sia stato anche il mio editor, in Italia non possiamo fare la rivoluzione perché siamo tutti editor di qualcuno).  


Altro circolo, altra tecnica. A Milano al Lombardo, uno dei più antichi d’Italia,  hanno trovato un sistema per evitare l’overbooking sinneristico, racconta un  habitué, ti fanno prenotare solo un campo per volta, altrimenti arriva il nuovo tennista occasionale che ti prenota tutto il mese (torna la smania milanese della prenotazione). La prenotazione del campo “al buio” può essere anche occasione di incontri galanti. “Se non fossi così scarsa userei la app Playtomic tipo Tinder” mi racconta un’amica, tentata di condividere il campo con sconosciuti di bell’aspetto. 


Col tennis dunque si cucca, non importa se binari, tristi & solitari, o fluidi, o chissà che; e magari Fantozzi si sarebbe oggi litigato la Silvani nella app tennistica col geometra Calboni che, alle prese col molesto direttore ciclista visconte Cobram, definisce il tennis “roba da finocchi” come direbbe pure il Santo Padre (ah, quant’è  lontana la douceur de vivre quando il meglio monsignore – oggi scacciato come in un feuilleton – don Georg Gänswein veniva fotografato sul campo da tennis vaticano in shorts).  


Dunque, riposizionamento. “Questa popolarità del tennis non ha precedenti”, ha detto Gianni Milan, vicepresidente vicario della Fitp, la Federazione italiana. “Ma realisticamente, nel giro di qualche anno, supereremo anche il calcio”. Per capire se lo spostamento degli italiani sui “gesti bianchi” per dirla col leggendario Gianni Clerici, sarà di lungo periodo, bisognerà vedere chi sarà il primo premier che per dimostrare d’essere “del popolo” rinuncerà ai classici due calci al pallone come Giuseppe Conte o Matteo Renzi (effettivamente non gli ha portato molto bene a nessuno dei due col senno di poi) per mettersi a fare dei palleggi sulla terra battuta. Finora l’unico politico che si è cimentato con questo araldico sport è stato Giuliano Amato, che aveva l’aggravante di esser stato fotografato a Orbetello, in zona insomma Capalbio, dunque in piena “kasta” (prima dei trionfi elettorali di Fratelli d’Italia nella bella località maremmana) in una foto poi leggendaria, dove posava con racchetta in mano ma con occhialoni neri e completo e cravatta nera, affiancato da due pupazzoni raffiguranti Tom & Jerry, in una specie di “Challengers” della Prima Repubblica versione Hanna-Barbera vagamente inquietante.  

 

Tra le varie cariche (presidente del Consiglio, ministro, presidente della Corte costituzionale), Amato fino al 2003 è stato anche presidente proprio del circolo del Tennis di Orbetello, sostituito poi da Aurelio Regina e oggi da Marco Bassetti (è chiaro che quel circolo meriterebbe un pezzo a sé). Ma oggi il “dottor Sottile”  fa da testimonial d’eccezione per la campagna abbonamenti dedicata agli over 65. Anche in alcune intercettazioni ormai antiche del 2010 in pieno caso Monte dei Paschi Amato fu auscultato e poi trascritto, ma si scopriva che chiedeva solo fondi per il circolo  di Orbetello: quando si aprì la corsa alla poltrona dell’Abi, Amato chiama il presidente di Mps Mussari per chiedergli “se è vera la voce circa la sua candidatura all’Abi in modo tale da fare qualcosa per sostenerlo”. Mussari conferma.  Quello in tutta risposta gli chiede di non far mancare i finanziamenti per il Circolo.  

 

A parte Amato, i politici italiani non hanno mai amato il tennis. Berlusconi faceva vestire i suoi come per il Roland Garros ma tutto quello che ne usciva era una corsetta alle Bermuda (quella famosa dove, immortalato dai paparazzi, Emilio Fede rotolò a terra). Il tennis sembrava assurdo oltretutto in tempi di caccia alle élite, di uno vale uno, di kasta. E cosa c’è di più classista di questo sport che si gioca con costosi equipaggiamenti e candide uniformi, e che rimanda oggi a immaginari da  Finzi Contini (sionisti! From the river to the sea!). Ma Bassani, che giocava al Parioli, pare che trovò ispirazione per il suo romanzo  sul mare salentino, dall’amico e socio di circolo Giuseppe Codacci-Pisanelli, in vacanza nella di lui villa  di Tricase, dotata del primo campo di terra rossa di Puglia.  


Insomma, élite e nicchia. E il tennis era anche un oggetto misterioso, infatti inserito tra “tv trigonometria e tornado” come da titolo di una fortunata raccolta di saggi narrativi di David Foster Wallace, il Kurt Cobain degli scrittori; e lì raccontava la sua disastrosa avventura tennistica nel ventosissimo Illinois, insieme alla propria ipersudorazione, che lo rendeva simile al Fantozzi cinematografico. 

 

Anche recentemente, il  tennis sembrava sepolto e superato dal più popolano e trucido padel, che aveva invaso le città. Eccolo, il grande  elefante nella stanza anzi nel campetto in tutto questo trionfo: il cugino brutto, il cugino impresentabile del tennis, il padel. Che fine ha fatto il padel? Nicola Porro, il nostro Tucker Carlson, tennista da sempre, e fortunato possessore di un campo privato sotto casa all’Aventino, richiesto dal sito SuperTennis di un parere su quale tipo di giocatrice sarebbe, se lo fosse, Giorgia Meloni, nel lontano 2021, così profetizzava:  “La vedo in tuta di ciniglia, sulla Smart che però va giocare a padel. E’ l’essenza della giovane signora romana: non fatica con il tennis che è sport difficile e preferisce la scorciatoia che è il padel e che va anche di moda”. Oggi lo ripeterebbe? Nel dubbio, Presidente (al maschile), batti lei!

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).