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Il Foglio sportivo

In Serie A è il momento del lungo weekend degli addii

Fulvio Paglialunga

Da Ranieri a Thiago Motta, fino a Pioli. I modi diversi di lasciarsi, e il tempismo come dote 
 

Claudio Ranieri lo ha detto: lascia il Cagliari e anche il calcio con un’impresa in tasca. Giocando d’anticipo, uscendo da vincitore: ha salvato il Cagliari, un po’ casa sua, dopo averlo riportato in A e non era facile crederci, infatti ha pianto felice abbracciando tutti a fine partita. Si è seduto qualche giorno dopo su una sedia per girare il video del congedo, scegliendo di arrivare ai suoi e a tutti. Solo una Nazionale può fargli cambiare idea, ma il Cagliari è l’ultima squadra di club. Thiago Motta lo dirà, nonostante il Bologna ci abbia provato fino alla fine: lascia il club per prendere il volo, anche lui pronto a sfilare tra ali di folla, con il Bologna in Champions League e nessuno che finora era stato in grado di scrivere “Bologna in Champions”, perché l’ultima volta si chiamava Coppa dei Campioni ed era il 1965 (Motta sarebbe nato diciassette anni dopo).

Il tempismo è una dote: lasciare quando tutto è andato bene, perché niente possa guastare il ricordo, è una scelta più coraggiosa di andarsene sbattendo la porta. Nel fine settimana degli addii (fine settimana lungo: Ranieri ha giocato giovedì) i migliori nei saluti sono quelli che hanno trovato la gloria in questa stagione. Anzi, nemmeno tutti, perché l’altro sarebbe stato Massimiliano Allegri, se avesse deciso di separarsi dalla Juventus (inevitabile, con i rapporti interni dilaniati, a dispetto del contratto) con la Coppa Italia, il ritorno in Champions e vabbè, non vi sono piaciuto, ma vi lascio qualcosa. Invece lascia la giacca lanciata, la camicia strappata, la lite in diretta, gli insulti ai giornalisti e l’esonero come punizione.

È meglio uscire dalla porta principale, tra gli applausi fieri e malinconici, con il traguardo che la gente non si aspettava, ma sotto sotto pensava di meritare e quindi il condottiero diventa l’uomo che mette a terra i sogni, li rende reali. Proprio come Claudio Ranieri, che il Guardian ha definito “true Cagliari hero”, e Thiago Motta, che secondo The Athletic è “un tattico affascinante”, cuore e teste che hanno varcato il confine della visibilità. Non come Allegri, ovviamente. Ma nemmeno come Pioli, che solo due anni fa era “on fire” nei cori dei tifosi e adesso si trova quasi come imputato, sicuramente come la punta più evidente di un ciclo finito, forse finito già il giorno dello scudetto, sicuramente nel derby in semifinale di Champions perso l’anno dopo. Sarà un po’ festa anche per Pioli, ma più dimessa: un grazie magari anche grande poche ore dopo aver raggiunto l’accordo per la buonuscita, i sentimenti e i soldi che vanno insieme e non sono lo stesso, romantico, addio.

E Gasperini? Gasperini non saluta, almeno non domani che c’è una coppa da esibire. Certo, è tentato anche lui dal chiudere otto anni di semina con la fotografia del raccolto, il suo primo trofeo ottenuto a 66 anni e 117 giorni. Certo, Percassi lo legherebbe all’Atalanta proprio ora che ha vinto, ma ci avrebbe provato anche se non lo avesse fatto. Quindi ora Gasperini gli applausi se li prende, la folla adorante la guarda in faccia. Poi dirà. Unica concessione verbale, alludendo al Napoli: “È come avere una moglie e dei figli, sei felice ma ti passa davanti una donna bellissima”, che detta così è un tradimento, però. Vabbè, non voleva dire questo.