Russ Cook (foto Getty Images)

Il Foglio sportivo

“Mi attraverso tutta l'Africa di corsa”. Russ Cook non scherzava

Michele Dalai

L'inglese in 352 giorni ha percorso 16.250 chilometri dal Sudafrica alla Tunisia. Ha corso per l’impresa e ha messo l’impresa a disposizione di Project Africa

Le grandi imprese son quelle che quando le racconti, quando le progetti sbronzo al bancone del tuo local pub metà degli avventori si gira e continua a bere, l’altra metà chiede al barista di non servirti più e se ti va bene ce n’è solo uno che ti crede e incoraggia.

Chissà se a Worthing, nel profondo West Sussex esiste davvero un tizio che ha creduto fin da subito a Russ Cook, ventiseienne di non belle speranze perso tra i demoni delle scommesse e dell’alcol. Chissà se quando Cook ha affermato solennemente che avrebbe attraversato tutta l’Africa di corsa quel tizio ha battuto il pugno sul bancone del pub e ha gridato in perfetto queen’s english “Fuck yes mate, let’s do it!”. Hardest Geezer significa più o meno il vecchietto terribile, il vecchio balordo.

Russ Cook si fa chiamare così e con questo soprannome è diventato una celebrità negli ultimi giorni di una corsa durissima, folle e in principio ignorata da media nazionali e internazionali.

Il piano era semplice, poi si è complicato.

Con una vettura d’appoggio e un operatore di ripresa Cook è partito dal Sudafrica con l’intenzione di correre l’equivalente di 360 maratone in 240 giorni, senza tappe di riposo o sosta.

Ora che l’Africa si possa correre per lungo è una bellissima utopia da ubriachi perché ci sono i deserti, mancano le strade, manca la voglia di aiutare un inglese folle e ispirato a compiere la sua impresa, così Cook ha dovuto correggere la rotta e modificare i tempi di percorrenza, alla fine i giorni sono diventati 352 e i paesi 16, una catena infinita di passi lungo tutto il perimetro Ovest del continente africano, una raccolta di bellezza e dolore che supera la fantasia di Zemeckis e della parabola di Forrest Gump.

Cook ha corso per l’impresa e ha messo l’impresa a disposizione di Project Africa, ha raccolto circa 700.000 sterline e ha offerto le sue ora logorissime articolazioni alla causa di progetti di scolarizzazione nel deserto e altre iniziative nobili accumulate nel corso dei tanti, tantissimi, troppi chilometri.

È successo di tutto in un anno di marcia forzata.

È arrivata la celebrità, ma solo nel gran finale, solo quando l’Algeria gli ha negato l’accesso e, a causa della mancanza del visto, tutto quel consumo di cartilagine ed energia vitale ha rischiato di essere vanificato.

Si sono mossi tutti per aiutare Hardest Geezer, si è impegnato anche l’eccentrico Musk che ha visto esplodere su X le interazioni di Cook e ha pensato di poter aiutare il beau geste con un altro beau geste.

Prima dell’Algeria però c’erano stati i furti, gli assalti al convoglio, i guasti tecnici, i ricoveri, la schiena a pezzi, le tempeste di sabbia, le tempeste e basta.

Una delle domane più frequenti in calce ai post e ai comunicati di Cook e della sua squadra è: chi te lo ha fatto fare? Un’altra è: quanta salute, quanti anni di vita hai bruciato per fare questa cosa?

In effetti sono le stesse reazioni dei tizi al pub, perché le imprese o le capisci o ti fanno paura.

Il grande quesito di fondo resta uno: perché corriamo?

Nella società comoda in cui non si scappa più dai leoni e non si portano notizie dalla battaglia correre è una scelta.

Lo puoi fare in tanti modi, puoi misurarti il battito mentre allunghi il passo al parco, come un criceto in trappola nel grande rullo cittadino oppure puoi misurare il battito del mondo, vedere quanta vita c’è oltre la curva dell’orizzonte e mettere i tuoi passi nella scia di tracce più profonde, di solchi più antichi.

L’immortalità è un concetto buffo nell’era dei social, tutto dura il tempo di uno scroll e la popolarità clamorosa di questo bellissimo balordo inglese con la barba rossa è destinata a scemare progressivamente, qualche documentario, qualche quiz televisivo che chiederà della distanza tra Capo Agulhas (Sudafrica) e Cap Angela (Tunisia).

Poi più nulla o quasi.

Passata la linea del traguardo Cook ha chiesto un daiquiri alla fragola, dice che ne aveva voglia fin dalla partenza.

Ha corso di notte quando di giorno era impossibile, si è imbottito di antidolorifici quando anche solo camminare pareva un sogno.

Ma la risposta c’è, basta pensarci un attimo.

Ha corso per noi. Lasciate questo articolo, le tante parole in fila e cercate i profili social di Cook.

Ripercorrete il viaggio, guardate i sorrisi dei bambini, la barba che si allunga, la polvere, le foglie enormi, il cielo colorato dei colori giusti, le smorfie di dolore.

Guardate il divano e la sedia su cui sedete ora, non vi sembrano d’improvviso piccolissimi?

Ecco, Russ Cook ha corso per raccogliere fondi, per raccogliersi da terra e per raccogliere noi e cancellare ogni dubbio: le imprese devi pensarle, spararle grosse e poi provarci.

Corriamo perché i leoni più pericolosi li abbiamo in testa, nelle nostre scatole nere pesantissime e fuggire non è impossibile.

Russ Cook, the Hardest Geezer è un balordo di genio e talento, ma è il nostro balordo e ha fatto una cosa che con lo sport c’entra pochissimo, si è ubriacato di vita e ha cercato di passarci la bottiglia.

Non è tardi.

Ah, la risposta al quiz è 16.250. Chilometri.
 

Di più su questi argomenti: