ciclismo

Sante Carollo, l'altra maglia nera

Gino Cervi

Nel Giro d'Italia del 1949 ci fu la più grande lotta per la maglia nera. Luigi Malabrocca cercò in tutti i modi di strapparla al vicentino (nato un secolo fa oggi) ma non ci riuscì: il corridore della Wilier Triestina andava troppo piano. 

Nel maggio del 1949, a pochi giorni dalla partenza del 32esimo Giro d’Italia, Fiorenzo Magni, vincitore tra molte polemiche l’anno prima – le spinte sulle Dolomiti, il ritiro polemico della Bianchi di Coppi, la contestazione antifascista o filo-coppiana all’arrivo al Vigorelli –, è costretto a dare forfait causa influenza dell’ultim’ora. Giovanni Zandonà, il direttore sportivo della Wilier Triestina, rimpiazza in tutta fretta il proprio capitano e compone così il sestetto dei suoi rossi-alabardati: insieme a Tino Ausenda, Giulio Bresci, Giordano Cottur, Luciano Maggini e Alfredo Martini correrà un carneade che risponde al nome di Sante Carollo. Anzi, forse lui a quel nome non risponderebbe neppure dal momento che lo hanno registrato con il cognome sbagliato. Si chiama Càrolo, con l’accento sulla a, e non Carollo. Ma, grazie a quella partecipazione fuori programma e suo malgrado, si ritaglierà un singolare posto nella storia del Giro d’Italia.

Il carneade è stato pescato da un paese della provincia vicentina, Montecchio Precalcino, dove è nato venticinque anni prima, l’8 febbraio 1924. Carollo è un ciclista per caso. Fin da ragazzo ha fatto il manovale e poi il muratore. Ha iniziato a correre tra i dilettanti soltanto un anno prima, per il Veloce Club di Schio, e si è messo in luce grazie a buone doti di scalatore. La vittoria nella Schio-Ossario del Pasubio nel 1948 gli vale un contratto da professionista per l’anno seguente con la Wilier Triestina di Bassano del Grappa. Corre dignitosamente la Milano-Sanremo, e poi, il 3 aprile, il Giro del Piemonte ma commette un’ingenuità: rimasto senza palmer di scorta dopo due forature, accetta in prestito una ruota da un ciclista tifoso per arrivare al traguardo e viene squalificato per tre mesi. Torna così a lavorare di malta e cazzuola al suo paese. Il 18 maggio gli arriva un telegramma: la squalifica è stata revocata dalla Federazione e deve precipitosamente aggregarsi alla squadra che tre giorni dopo, il 21 maggio, inizia da Palermo il Giro d’Italia. Con poco allenamento e tanta emozione, Sante si trova imbarcato – in tutti i sensi: perché le squadre raggiungono Palermo via mare da Genova, sul piroscafo Saturnia – in una nuova, imprevista avventura. Le gambe di Carollo però non girano per nulla e fin dalla prima tappa, la Palermo-Catania, il malcapitato gregario vicentino arriva con oltre un’ora di ritardo. Paradossalmente sarà la sua fortuna.

Nei primi Giri d’Italia del secondo dopoguerra, c’è un corridore che ha rovesciato rocambolescamente il canone dell’epica ciclistica: arrivare ultimo è un’impresa. Si chiama Luigi Malabrocca, tortonese di nascita, compaesano e quasi coetaneo - è del 1920 – di Fausto Coppi, ma pavese di adozione. Ha talento, il Luisìn – detto anche il Cinese, per via degli occhi a mandorla – ed è capace di vincere belle corse: una Parigi-Nantes nel 1947, una Coppa Agostoni nel 1948, addirittura il Giro di Jugoslavia nel 1949; in seguito, per due volte (1951 e 1953), sarà anche campione d’Italia di ciclocross. Ma ha capito che, non essendo un fuoriclasse, per dare un senso economico al mestiere massacrante del corridore ciclista, deve inventarsi qualcosa: e diventa cacciatore di premi nei traguardi volanti, quelli che vengono messi in palio da Pro Loco e botteghe lungo il percorso. Il vero colpo di genio è però arrivare ultimo al Giro d’Italia. Nasce con Malabrocca – un nome che già è un programma: sembra inventato dall’Ariosto per un cavaliere dalle alterne fortune – il mito della Maglia Nera che viene indossata dall’ultimo in classifica generale. È il rovescio della Maglia Rosa e per meritarsela non basta andare piano, più piano degli altri. Bisogna saper lavorare d’astuzia e, per assurdo, di tempismo per tagliare il traguardo dopo tutti gli altri ma entro il fatidico “tempo massimo”, il distacco massimo consentito dal vincitore, che viene stabilito dalla giuria in base alla media oraria della corsa. Chi arriva oltre questo limite viene eliminato. Malabrocca non ha rivali in questa particolare corsa all’incontrario e per due anni, il 1946 e il 1947, è il “Cavaliere nero” del Giro, meritandosi popolarità e lauti premi da fare invidia quasi ai vincitori di tappe. Non corre il Giro del 1948, perché la sua squadra, l’Edelweiss non vi partecipa, ma anche perché pensa che quel suo singolare modo di correre, che lo ha fatto diventare popolare in tutta Italia, non possa essere riproposto ad libitum.

Ma nel 1949, Malabrocca, che nel frattempo è stato messo sotto contratto dalla Stucchi, trova finalmente un degno rivale. Soltanto che Sante Carollo arriva ultimo senza volerlo. Anzi, vive male l’essere il fanalino di coda del Giro: un’onta da cui presto liberarsi. Poi, con il passare delle tappe, i premi e il denaro che sta intascando gli fanno cambiare idea. Lo scrive anche Dino Buzzati, la cui presenza come inviato del “Corriere della Sera” rende ancora più eccezionale quel Giro del 1949, come se non bastasse già l’epica sfida in corso tra Bartali-Ettore e Coppi-Achille: "Al Giringiro [un programma radiofonico di varietà che accompagna la corsa], che ha avuto l’idea di premiare questa gloria alla rovescia, arrivano ogni giorni pacchi di vaglia e assegni da tutta Italia. Operai di fabbriche, scolaresche, preti, professori, signorotti di provincia hanno contribuito all’appannaggio della cosiddetta maglia nera. E si calcola che Carollo metterà insieme, a forza di perdere, oltre 200.000 lire".

Malabrocca però non ci sta a essere detronizzato. E allora inizia la contesa. I due sono figure agli antipodi: bruno, spavaldo e sfrontato il Cinese, rossiccio, timido e testardo il Sante. Potrebbero mettersi d’accordo, alternandosi nelle vittorie a rovescio, ma il vicentino non ne vuole sapere di dividere il bottino. Del resto va talmente piano che a Malabrocca non basta escogitare i più assurdi nascondigli per far passare il gruppo e il tempo. Alla fine i due fanno innervosire anche la giuria dei cronometristi, costretta sul traguardo ad attendere per ore l’arrivo dei due contendenti. All’ultima tappa, da Torino a Monza, mentre Coppi, grazie all’impresa della Cuneo-Pinerolo, si appresta a vincere il suo terzo Giro, nelle retrovie sembra ormai tutto deciso: Carollo ha uno “svantaggio” di 2 ore e 10 minuti su Malabrocca, penultimo. Il Cinese tenta un ultimo colpo: si attarda in un’osteria e arriva a 2 ore e un quarto dal vincitore, Giovannino Corrieri che ha staccato di 5 minuti il gruppo che comprende Carollo. Ma è la giuria, questa volta, a tirare un brutto scherzo a Malabrocca, chiudendo i registri cronometrici prima del suo arrivo. Il Cinese protesta, ma il suo ricorso non viene accettato.

La Maglia Nera del 1949 resta sulle spalle di Sante Carollo e nelle sue tasche il congruo premio finale. Di fatto è la fine della leggenda della Maglia Nera. Malabrocca, indignato, si rifiuterà di concorrervi ancora. Carollo è una meteora: sparirà dal giro (e dal Giro) dopo pochi mesi e quel 1949 sarà la sua sola stagione dai professionisti. Ma quel picaresco duello di ritardatari lo consegnerà, come degno alter ego del leggendario Malabrocca, alla storia del ciclismo. Anni dopo, Benito Mazzi, autore di una meravigliosa biografia su Malabrocca (Coppi, Bartali, Carollo e Malabrocca, Ediciclo 2005: il testo ha ispirato più di una riduzione teatrale), proverà a far incontrare di nuovo i due rivali, ma arriverà fuori tempo massimo: Sante Carollo muore il 9 gennaio 2004, per una complicazione post-operatoria; Luigi Malabrocca lo raggiunge due anni dopo, il 1° ottobre 2006.

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