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Crocicchi #13

Meglio il tennis se Juve-Inter è il meglio che la Serie A ha da offrire

Enrico Veronese

Mentre le prime due della classifica pareggiano, il Milan accorcia grazie alla faccia (chiedete a Rolando Mandragora) di Mike Maignan

Altro che lo spettacolo dei classici di Spagna e Inghilterra. Se Juve-Inter-locutoria è il meglio che ha da offrire oggi il calcio italiano, diventa logico appassionarsi di nuovo allo sport dell’anno, il tennis: due gol simili per fattura - dialogo tra le rispettive punte, traversoni bassi a difesa che rincorre mal schierata - e poco altro, con lo sterile predominio territoriale nerazzurro nel secondo tempo. Quest’ultima non è una novità per Massimiliano Allegri, mentre dal pericolo esce indenne Simone Inzaghi: ma tutto senza entusiasmo, lontani anni luce dagli scontri al vertice in Liga e Premier League. Eppure, entrambe le contendenti hanno motivi per non rammaricarsi oltremodo della mancata svolta al proprio e altrui torneo: il Milan si avvicina, spinto dai momenti, ma non appare oggi attrezzato per scalfire il duopolio con continuità. Il Napoli, dal canto suo, ringrazia la stirata di un Victor Osimhen già di nuovo decisivo per concretizzare nei fatti la vittoria di cui molti, prima del match di Bergamo, si pensavano sicuri: in questo caso, se con Walter Mazzarri anche gli aspetti “ambientali” torneranno a posto in scia a Luciano Spalletti, non sarebbe tardi per risalire.

C’è da fare caso, piuttosto, all’imporsi del segno “testa! Ora giochiamo con la testa!” che allenatori e giocatori hanno preso a dedicarsi a vicenda, picchiettando con l’indice sulle tempie, dopo quasi ogni gol segnato. Sarebbe bello se fosse così, quando invece la prospettiva cozza nolente con l’irrazionalità dello sport, l’imponderabile che abbatte i crocicchi come un suv: Josep Martínez accecato dal sole mentre calcia Matías Soulé, Ivan Provedel tradito dalla traiettoria “sudafricana” (nel senso dei Mondiali 2010) del fendente di Antonio Candreva, sono effetti collaterali capaci comunque di determinare la direzione o l’esito di una partita. Ci si mette anche l’elemento umano, nella fattispecie Gianluca Mancini che segna dopo essere arrivato in area per ultimo, a pallone già collocato per il tiro da fermo, essendosi rivolto alla panchina per assumere sali antidolorifici: il suo posizionamento, come un ciclista verso la volata, avrebbe potuto essere ben differente nell’area già intasata, e non portare al vantaggio. Fa il pari con Mike Maignan che durante la settimana ha sofferto di febbre e noie intestinali, si è chiuso in casa e ha accusato crampi in equilibrio precario anche nel terreno di gioco.

Eppure Stefano Pioli, evidentemente rassicurato dal suo numero uno (che poi veste il 16) quanto alle proprie condizioni, ha resistito a sostituire l’estremo francese con Antonio Mirante, pure mandato a scaldarsi. E il premio è arrivato, sempre allo scadere dei due tempi: nel primo, il rigore di Theo Hernández in pieno recupero ha consentito di andare negli spogliatoi in vantaggio, modificando tutto il sermone di preparazione tattica alla ripresa, rispetto al previsto 0-0 e ai rispettivi piani di attacco. Ben oltre il termine nominale del match, al 95° minuto, proprio Maignan ci ha messo letteralmente la faccia negando il pareggio a Rolando Mandragora: vale la pena di considerare come il Milan, con entrambi i crocicchi favorevoli - tralasciando quelli incidentali nelle mani di arbitri e Var - ha sfruttato i minuti più che gli episodi. Altra cosa, infatti, è assestarsi quando l’avversario non ha più tempo per controbattere: lo sanno a Frosinone, con Ilario Monterisi, e a Sassuolo con il monumento a Domenico Berardi. Così a San Siro, dove il fattore T diventa ben più decisivo che la contemporanea assenza di Olivier Giroud e Rafael Leão (oltre, secondo i maligni, alla presenza di Luka Jović), o il fatalistico affidamento al quindicenne Francesco Camarda. Sarà lui, lo Jannik Sinner di cui il calcio italiano ha drammatico bisogno per ritrovare l’entusiasmo di sempre?

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