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la prima tappa pirenaica

Tour de France. Il colpo gobbo di Jay Hindley

Giovanni Battistuzzi

Arrivano i Pirenei e sconquassano, almeno in parte la Grande Boucle. L'australiano vince la quinta tappa, è la nuova maglia gialla, è soprattutto una variazione interessante al solito tema. Secondo Giulio Ciccone. Jonas Vingegaard stacca Tadej Pogacar

A guardare verso l’alto dalle collinette che anticipano, dolci e spelacchiate, i Pirenei, i corridori vedevano, in lontananza, più nubi che vette. Ed era un’ottima notizia: il caldo non li avrebbe assaliti, non si sarebbe attaccato alla loro ruota, appesantendola. A volte basta un segnale da niente per rafforzare gli intenti riottosi che magari si erano vagheggiati il giorno precedente o il mattino stesso. Jay Hindley non aveva la minima voglia a inizio Tour de France di fare da fondale lontano, sperduto, dietro a quei due, i soliti noti: Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar. Voleva mettersi alla prova, capire se anche al Tour de France poteva correre da grande protagonista. Un Giro d’Italia l’aveva già vinto, un anno fa, ma gli avevano fatto notare che quei due, i soliti noti, non c’erano.

Jay Hindley ha visto le nubi in lontananza e quelle che correvano veloci sopra la sua testa, ha pensato che fosse una buona giornata per provare a fare il colpo gobbo. Si è messo nelle prime posizioni, ha detto ai compagni di prestare attenzione a ciò che succedeva e che se si creavano le condizioni adatte di farsi trovare pronti. Si sono fatti trovare pronti, lui si è fatto trovare pronto. Tra uno scatto e l’altro di attaccanti più o meno abituali, a una trentina di chilometri dalla partenza, il gruppo si è spezzato, trentasei corridori si sono ritrovati avanguardia, tra loro tanta gente forte di gambe: da Julian Alaphilippe a Wout van Aert, da Felix Gall a Giulio Ciccone, da Matteo Jorgenson a Valentin Madouas, da Maxime van Gils a Krists Neilands. E poi lui, Jay Hindley con Patrick Konrad e Emanuel Buchmann, il meglio del gregariato che ha disposizione.

La Bora-hansgrohe ha tenuta alta la velocità, ha cercato di mettere tra il loro capitano e il gruppo il maggior numero di minuti possibile. Poi ci ha pensato lui. Prima sul Col du Soudet, debutto pirenaico al Tour di quest’anno, gestendo la voglia di impresa altrui. Poi sul Col du Marie Blanque, questa volta in coabitazione con Felix Gall e infine da solo. Una solitudine lunga venti chilometri. Una solitudine dolcissima, eccitante, fatta di leggerezza ascensionale e precisione discendente, infine vincente e gialla. Vittoria di tappa e prima posizione in generale con 47 secondi di vantaggio su Jonas Vingegaard. Niente male questo Jay Hindley.

Alle spalle dell’australiano il secondo a passare la linea d’arrivo è stato Giulio Ciccone, che ha preceduto nella volatina Felix Gall, Emanuel Buchmann e Jonas Vingegaard. Era parecchio arrabbiato l’italiano, ce l’aveva un po’ per l’occasione persa, un po’ per la decisione della sua ammiraglia di non collaborare con il danese. Sarebbe stato difficile riprendere Hindley, non impossibile a giudicare la reazione di Ciccone.

Tra i primi inseguitori c’era una assenza evidente: Tadej Pogacar.

Il volto dello sloveno si era progressivamente incupito all’aumentare della velocità in salita da parte di Sepp Kuss, compagno di squadra di Vingegaard. Aveva virato al nero quando il danese si era alzato sui pedali per scattare a venti chilometri dall’arrivo. Non lo aveva seguito, aveva provato a non strafare, a stargli il più vicino possibile, anche se da lontano. La distanza tra loro si era progressivamente ampliata, quando la schiena dell’ultimo vincitore del Tour era sparita dal suo campo visivo, Pogacar ha sbuffato, ha provato a fare il possibile per non perdere la calma, si è difeso come poteva. A Laruns è giunto un minuto e quattro secondi dopo che tolti gli undici secondi che aveva di vantaggio la mattina fanno cinquantatré secondi sul groppone da portarsi domani a spasso per la seconda tappa pirenaica, quella del Col du Tourmalet, quella che porta a Cauterets-Cambasque; che fanno un minuto e quaranta da Jay Hindley.

Non ha perso il sorriso Tadej Pogacar all’arrivo. Ha ammesso che Vingegaard era più forte, che gli sono mancate le gambe nell’ultimo chilometro del Marie Blanque – lì dove gran parte del suo distacco si è materializzato – ma che le speranze sono le stesse. Si dice sempre così, che il Tour è lungo. Lo è davvero e uno scatto subito può trasformarsi in uno scatto dato. Speranze. Jonas Vingegaard sembra parecchio in forma, sembra parecchio motivato, forse non è invincibile, ma pedala che è una meraviglia. Però in maglia gialla c’è Jay Hindley e questa è una variazione interessante su un tema che sembrava poter essere lo stesso di un anno fa.

È lungo il Tour, ancora due settimane e mezzo e tante occasioni per rimettere in discussione ciò che la strada oggi ha detto. Sarà un luglio intenso, sarà un luglio cortissimo e veloce.

 

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