Un altro Giro

Le fughe solitarie di Giovanni Fusar Imperatore

Marco Pastonesi

Prima di Buja, che ha concesso i natali ad Alessandro De Marchi e Jonathan Milan, c'era Cascina Montana, a Gaggiano, una ventina di abitanti e quasi due corridori al Giro d'Italia. Quasi perché Fusar Imperatore la corsa rosa la sfiorò soltanto: “Così mi è rimasta la voglia”

Buja, Friuli, seimila residenti, detiene il primato di due corridori al Giro d’Italia: Alessandro De Marchi e Jonathan Milan. Ma c’è chi ha fatto molto meglio. Come la Cascina Montana, a Gaggiano, nel Milanese, una ventina di abitanti, con due corridori – quasi – al Giro d’Italia: Silvano Davo e Giovanni Fusar Imperatore. Quasi perché Davo al Giro partecipò nel 1969 e nel 1972, invece Fusar Imperatore, tre anni, dal 1970 al 1972, il Giro lo sfiorò.

   


La corsa rosa è un giro di ricordi e sogni, avventure e disavventure, imprese e crisi, storie e passioni. Un altro Giro è la rubrica di Marco Pastonesi che ci accompagnerà strada facendo sulle strade del Giro d'Italia 2023.


      

Fusar Imperatore, nato in cascina in un giorno da Tour de France: “Il 14 luglio 1947”, durante la Pau-Bordeaux, vittoria di tappa per l’italo francese Giuseppe Tacca, maglia gialla al francese René Vietto, “origini cremasche, papà contadino e poi in fabbrica, mamma casalinga, io secondo di tre fratelli, quinta elementare, poi le medie serali, quindi a lavorare in una tipografia e poi in una fabbrichetta di lampadari, il padrone della fabbrichetta era il direttore sportivo della mia squadra e mi lasciava qualche mezza giornata per allenarmi”.

Fusar Imperatore, salito su una bici a 12 anni: “Proprietà di un mio amico, ma lui alto uno e 90, io una spanna meno, azzerai la sella, ma non era abbastanza. Era una bici di quelle antiche, una Monti di Baggio, il cambio sulla forcella posteriore con due manettini, il primo serviva per cambiare, il secondo per chiudere il morsetto. Quando vide che pedalavo, Gianni Zucca, che a Gaggiano aveva un negozio di bici, me ne diede una alla mia altezza. Quindi passai a una Gramaglia, un altro artigiano di Baggio. Però le bici più desiderate erano quelle del Pepp Magni, che noi tutti chiamavamo ‘il Prof’, anche lui con bottega a Baggio. Baggio era la capitale delle biciclette”.

Fusar Imperatore, che sulla bici dimostrava di saperci fare: “La prima corsa quattordicesimo, la seconda e la terza quarto, la quarta quinto, la prima vittoria alla quinta corsa, in volata in un gruppetto di sette-otto fuggitivi. La stagione cominciava la prima domenica di aprile e di domenica in domenica si arrivava alla prima domenica di ottobre. Continuai a correre e a vincere. Anche da dilettante. Quattro anni, 27 vittorie, anche in azzurro al Giro della Jugoslavia, riserva a Mondiali e Olimpiadi, l’ultimo anno addirittura nove vittorie, e sempre senza squadra, facevo tutto da solo. Tanto che passai professionista, nella Dreher diretta da Franco Cribiori, di Corsico, quattro colpi di pedale da Gaggiano che, noi della zona, ci conosceva e ci seguiva tutti”.

Fusar Imperatore, che da professionista non si trovò così bene: “Perché da dilettante dovevo arrangiarmi, invece da professionista dovevo aiutare, spingere e tirare, chiudere e proteggere, giornate di libertà poco o niente, e così quelle poche andavo in fuga. Centocinquanta chilometri da solo al Giro di Lombardia del 1971, cinque minuti di vantaggio sul gruppo, fui ripreso da Eddy Merckx sull’ultima salita, io sulla destra, lui sulla sinistra, aveva una faccia che mi mise paura, lui volò al traguardo, io no. E altri 100 chilometri da solo alla Coppa Agostoni del 1972”.

Fusar Imperatore, che da professionista colse un terzo posto nella sua frazione della cronostaffetta del 1970, “e fu il migliore risultato della squadra”, e un quinto nel circuito di Chignolo Po, “ma i primi quattro posti erano già programmati, prenotati e assegnati, vinse Gianni Motta su Dino Zandegù, io arrivai quinto, dunque primo”.

Fusar Imperatore, che per sua fortuna c’era anche la pista: “Cominciai per scommessa. A Napoli, al Vomero, prima del Giro di Campania. La punzonatura nello stadio dell’Arenaccia, una pista di 600 metri. Sfidai Giampiero Macchi, che era anche un inseguitore: ‘Scommettiamo che ti prendo?’. Lo presi. Da allora anch’io mi dedicai all’inseguimento. Terzo ai campionati italiani di Lanciano nel 1970, terzo a quelli di Varese nel 1971, secondo a quelli di Bassano del Grappa nel 1972, primo in quelli indoor del 1971 al Palazzo dello sport di piazza VI Febbraio a Milano. E fui sesto ai Mondiali di Marsiglia. Allora si gareggiava non sui 4, ma sui 5 km”.

Fusar Imperatore, primatista del mondo: “Roma, 1971, collegiali con la squadra azzurra su pista, il ct Guido Costa ci propose di tentare dei record al velodromo olimpico dell’Eur, la buttai lì, quello dei 100 km, cioè 250 giri. Adattai la bici alzando di mezzo centimetro la sella, mi feci prestare le ruote da Lorenzo Bosisio, scelsi il rapporto – sbagliato: sarebbe stato meglio il 50x14 del 52x15 -, e tentai. Più passava il tempo, più la sella mi faceva male, gli ultimi 30 km li pedalai tutti in punta di sella, sanguinavo e dal dolore infilavo i sacchetti disposti lungo l’anello, ma ci riuscii”.

Fusar Imperatore, che il Giro d’Italia lo sfiorò soltanto: “Così mi è rimasta la voglia”.

Fusar Imperatore, ma quell’Imperatore, da dove viene? “Glielo confesso: non lo so”.