(foto EPA)

dopo la trasferta americana

Cosa manca a Sinner per coincidere col Sinner che tutti si aspettano

Luca Roberto

La sconfitta in finale a Miami ci ha detto che l'altoatesino è ancora un giocatore in costruzione. E che per vincere non dovrà lavorare solo sul fisico

Sabato, al risveglio, non c'era un singolo appassionato di tennis che riproducesse mentalmente qualcosa di diverso da: "Ho visto Jannik Sinner, ho visto Jannik Sinner. E, mammà, innamorato son". La sua vittoria ai danni del numero uno al mondo Carlos Alcaraz aveva tutti i crismi della partita indimenticabile, di quelle che ci si ricorda a distanza di anni. Della genìa: io c'ero. Troppo prolungati e instensi gli scambi portati a casa davanti allo strapotere dello spagnolo, troppa l'eccitazione del pubblico floridiano per non credere che quello fosse un altro segnale di un giocatore oramai sbocciato in campionissimo. In rete girano gli highlights di quella partita: potrebbero essere etichettati nella categoria "tennis porn", sono tipo una schiacciata dell'Antico vinaio che invece della sbriciolona mostra un passante di rovescio. E' per questo che la sconfitta in finale contro Daniil Medvedev, la seconda in un Master 1000 e sempre a Miami, ha lasciato quel poco di amaro in bocca in chi credeva che si fosse imboccata un'ascesa irreversibile, senza troppo spazio per passi indietro. La sconfitta contro un giocatore che aveva vinto le ultime 23 su 24 partite ci stava tutta, beninteso. E' il modo in cui è arrivata, però, che ha almeno in parte eclissato la vittoria del turno precedente.

 

Su questo giornale abbiamo scritto che Sinner un giocatore vero, a essere del tutto sinceri, lo è diventato sull'erba di Wimbledon. Anche lì il passaggio all'età adulta del tennis lo aveva marcato con un trionfo ai danni di Alcaraz. Poi s'era dovuto arrendere a Novak Djokovic da due set di vantaggio, ma aveva segnalato all'universo tennistico che la sua esplosione definitiva era questione di mesi, non più di anni. Quest'anno la stagione l'ha cominciata senza braccini, con un fisico più strutturato, un servizio più solido, percentuali di realizzazione in progressiva crescita. Dopo aver perso con Tsitsipas agli Australian Open, è uscito dal campo sconfitto in solo tre occasioni: due con Medvedev, una con Alcaraz. Ma di mezzo ha vinto un torneo, e ha fatto due finali, battendo nel complesso quattro top ten, cosa che fino allo scorso anno gli era riuscita di fare molto raramente.

 

Ma allora a cosa è dovuto questo rammarico, questo senso di insoddisfazione, che sempre avvolge gli atti conclusivi a cui l'altoatesino prende parte? Forse al fatto che mentre lui continua a non incamerare trofei, a fermarsi un attimo prima, ci sono gli altri, vedi non solo Alcaraz ma pure Holger Rune, che quell'asticella l'hanno già alzata. E se ci sono riusciti e anche perché, almeno in parte, sono giocatori più pronti. Ché i campioni a volte si riconoscono proprio dall'abilità di sfuggire alle comparazioni, al misurarsi rispetto al muro delle ambizioni di chi ti ha preceduto. Perché è chiaro che essere uno dei migliori prospetti del circuito e continuare nel percorso di crescita fa piacere. Ma quanta più soddisfazione darebbe sapere che anche Sinner è fuori dalla norma, dalla media, che dopo una maratona con Alcaraz un torneo importante riesce a vincerlo in un qualche modo anche se è stanco e "si è svegliato male, ho capito che qualcosa non andava", come ha raccontato ieri a fine partita?

 

Forse il modo per far coincidere l'idea che di Sinner hanno i suoi più instancabili tifosi (a occhio tutta l'Italia che fa uso e abuso di racchetta) con il Sinner che si vede sul campo è attraverso il completamento di tutta una serie di gap che non sono solo fisici, ma anche tecnici.

 

Ieri in commento Paolo Bertolucci ha detto che Sinner soffriva i momenti in cui avrebbe dovuto improvvisare, uno spartito cui spesso si viene costretti quando si gioca contro i Medvedev della situazione. Solo che in questo caso bisogna arrischiarsi a superare se stessi, la propria natura. Ci riuscirà? L'idea, almeno dall'affiancamento di Simone Vagnozzi con Darren Cahill in qualità di allenatore, è quella. Come fare per capire che sta funzionando? Vincere un torneo che conta è una ricetta che vale sempre. Quale miglior occasione allora se non il rosso di Montecarlo, dove Sinner, che nel principato è pure residente, è come se giocasse in casa? 

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