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la storia

Lo sport è ancora un gioco: lezioni dal campo di rugby

Alessandro Ferri

A Civitavecchia un papà arbitra una partita in cui suo figlio è capitano. Si può pensare che esista un mondo in cui a un adulto non interessa viziare il risultato di un incontro tra bambini, perché non è necessario e perché è più importante vivere una giornata di gioia collettiva

Questa è una storia piccola e come tutte le storie piccole nasconde un messaggio grande. Il rugby è uno sport duro, questo è fuori di dubbio, ma è anche uno sport che veicola un messaggio positivo di supporto reciproco e di inclusione. Dice il motto dei Barbarians, il club a inviti più antico del mondo, che il rugby “è uno sport per gentiluomini di tutte le classi sociali, ma mai per un cattivo sportivo, a qualunque classe appartenga”.

I Baa-Baas non hanno un campo, non hanno una sede, non hanno una rosa prestabilita di giocatori, non hanno un allenatore designato. Però hanno un motto, hanno una visione chiara di cosa sia il rugby: una casa aperta a tutti, dove non esistono retropensieri.

In questo senso può succedere che un arbitro sia connazionale (o concittadino) di una delle due squadre in campo, può succedere che lo stesso arbitro magari in passato abbia giocato con una delle due squadre. Tutto senza grosso stupore. Più raramente, può succedere che un arbitro diriga la gara di suo figlio, capitano di una delle due squadre in campo.

A Civitavecchia, in provincia di Roma, un paio di domeniche fa Pasquale Ciocci ha messo il fischietto in bocca per arbitrare la partita di suo figlio, Damiano.

“Cerco sempre di tenere nascoste a Damiano le designazioni della sua categoria (l’Under 15, ndr.) – spiega -, ma alla fine lo è venuto a sapere. Quello che non sapevo io è che i suoi allenatori lo avessero scelto come capitano. Nella sua squadra fanno ruotare il ruolo: quella volta toccava a lui. È stato strano, ma è andata molto bene”.

Anche Damiano è d’accordo col padre: “Ci siamo divertiti, è stato bravo. Per me non ha fatto nessuna differenza che fosse mio papà. Anzi, ho anche segnato una meta nel mezzo di un raggruppamento, ma non si è nemmeno accorto che sono stato io”.

Alla fine il Civitavecchia ha vinto la partita con il Viterbo, ma il risultato conta poco. Forse la parte più importante è stata quella prima del fischio d’inizio, quando i Ciocci, padre e figlio, si sono trovati fianco a fianco per il riconoscimento.

“Gli ho dato del lei, come faccio sempre con i giocatori – dice Pasquale – e vedevo che i ragazzi erano sorpresi dalla situazione. Qualcuno nello staff ha scattato una foto, che all’inizio mi ha fatto sentire un po’ sotto i riflettori, ma che ora mi piace e che ha permesso alla storia di circolare”.

Quella foto è infatti andata oltre la cronaca di una domenica di rugby di provincia. Ha raggiunto i quotidiani locali, quelli più grandi e, soprattutto, il CNAR, il comitato nazionale arbitri.

“Molti colleghi mi hanno fatto i complimenti e sono stati contenti che con una storia così particolare sia stato possibile far vedere quanto posto ci sia per tutti nel rugby. Questo sport è aperto a chiunque: io ho giocato per anni, ora arbitro e do una mano con questi ragazzi durante gli allenamenti, ma tanti altri genitori sono dirigenti, allenatori, addetti al terzo tempo. Ognuno trova un ruolo e, soprattutto, lo rispetta”.

Damiano, che gioca a rugby da quando ha tre anni e mezzo e che a breve ne compirà quattordici, ha imparato tanto sul campo, che lo vede impegnato come mediano di mischia, ma porta con sé molte lezioni che sono valide nella vita di tutti i giorni. “Il rispetto, il sostegno, l’amicizia, la fratellanza, sono tutte cose che ho scoperto con il rugby. Mi diverto con i miei compagni, ma imparo anche. Poi certo, capita di avere papà come arbitro, ma non mi crea imbarazzo: è bravo e imparziale. Arbitrare? Mi piace il regolamento, quindi magari in futuro potrò provare, perché no”.

Un episodio piccolo, insomma, nasconde una morale grande: si può, si deve andare oltre gli stereotipi. Si può pensare che esista un mondo in cui a un adulto non interessa viziare il risultato di un incontro tra bambini, perché non è necessario e perché è più importante vivere una giornata di gioia collettiva. Padre e figlio sullo stesso campo, nello stesso momento, con ruoli molto diversi: una riedizione delle dinamiche di casa, dove i genitori dettano le regole e i figli le rispettano. Un grande insegnamento per chi non conosce il motto dei Barbarians, o semplicemente per chi dimentica quello che è lo sport, soprattutto a questi livelli. Un gioco.

E allora che si giochi.

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