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Il Foglio sportivo

L'eterna giovinezza di nonno Fernando Alonso

Umberto Zapelloni

Il pilota spagnolo (42 anni a luglio) inizia la sua ventesima stagione in Formula 1. E ha una gran voglia di giocare un brutto scherzetto alla Ferrari

Nei suoi vent’anni in Formula 1 Fernando Alonso ha avuto più fidanzate che squadre, ma è comunque riuscito a tenere altissimo il livello di tutte e due. A fine luglio compirà 42 anni: Oscar Piastri, l’ultimo debuttante nel circus non era ancora nato quando Fernando fece il suo esordio in Formula 1 con la Minardi il 4 marzo 2001. Lo chiamano nonno Fernando, anche se ha lo spirito di un ragazzino e sta cominciando questa sua ventesima stagione tirato a lucido come se il tempo dalle sue parti non passasse mai. Non è il verde della tuta che gli dona, stava meglio in rosso, ma il verde Aston Martin gli ha riacceso la speranza di riuscire a chiudere in bellezza (tra un paio d’anni) con un’altra vittoria. “Qui abbiamo il denaro, le strutture e il talento per riuscire. Ambizione è la parola chiave che identifica il team”.

 

Il suo ultimo successo è ormai lontano 10 anni, lo ottenne in Spagna con la Ferrari nel 2013. Dopo ha vinto a Le Mans, ha conquistato il Mondiale Wec, ha tentato di completare la triplice corona a Indy, ma in Formula 1 non ha più avuto chance. Ha rivisto il podio due anni fa in Qatar con l’Alpine, ma solo la nuova avventura con Aston Martin gli ha ridato la speranza di battere il record di anzianità dell’era moderna detenuto da Nigel Mansell che nel 1994 in Australia vinse la sua ultima gara a 41 anni e tre mesi. “Qualunque cosa tu faccia nella vita, devi avere questa competitività dentro di te, devi avere questa fame di essere il migliore. Ho questa fame da quando ero bambino. Cerco sempre di battere tutti in qualsiasi cosa faccia”, racconta. Lui vuole esserlo sempre. Che vada in bici, giochi a tennis, a padel, a scala quaranta. “Che si tratti di una gara, di una partita di tennis, di un gioco di carte o altro, si tratta di vincere. Si tratta di sfruttare i tuoi punti di forza e usare le debolezze del tuo avversario contro di loro. Se non riesco a batterli con il Piano A, passo al Piano B. Se il Piano B non funziona, vado al Piano C. Devo battere sempre chi mi sta davanti”. Proprio in gara, sulla distanza, Alonso riesce ancora a essere uno dei migliori. In pochi sanno leggere le gare come lui, sanno gestire le gomme, aggredire i doppiati. Se in qualifica, specialità in cui non è mai stato un fenomeno (solo 22 pole in 355 gare), ha perso qualcosa, sempre che la pista non sia bagnata o le condizioni atmosferiche incerte, in gara è ancora un maestro. “Quello che so è che cerco sempre di dare il massimo. Non sono mai demotivato. Non importa se sto lottando per il quinto o il quindicesimo posto, per me è come lottare per la vittoria perché devo assicurarmi di dare il 100 per cento a ogni giro di ogni gara”.

 

Un esempio di longevità e di impegno. Lui e Lewis Hamilton stanno lottando contro ragazzi che potrebbero quasi essere loro figli, ma proprio quando cercano di batterli, danno loro il migliore degli insegnamenti. Ci ha pensato anche Lawrence Stroll quando lo ha ingaggiato per l’Aston Martin: dopo Vettel non poteva portarsi a casa nessun maestro migliore per suo figlio Lance. Ecco, dove Fernando eccede un po’ è quando dice che il giovane Stroll ha il talento per diventare campione del mondo. Va bene che il papà gli paga lo stipendio, ma forse dovrebbe stare più attento con le parole. D’altra parte l’uso della lingua è sempre stato un suo problema. Fernando è uno che non considera i danni che può fare con le parole. Ha guastato l’ambiente in Ferrari, ha fatto lo stesso in McLaren arrivando a far cacciare i giapponesi della Honda poi diventati campioni con Red Bull. Con una gestione più oculata delle sue parole avrebbe probabilmente vinto di più. Due titoli mondiali sono pochi se consideriamo il suo talento. Ma l’aritmetica ci racconta un dettaglio che significa tanto: con soli 8 punti in più, distribuiti in tre stagioni, Alonso avrebbe vinto tre Mondiali in più. Sarebbe a quota 5. Come Fangio. Più di Prost. Nel 2007 lo ha perso per un punto contro Kimi; nel 2010 di 4 punti contro Vettel e due anni dopo di 3 punticini contro lo stesso Vettel. C’era sempre la Ferrari di mezzo. La guidava Raikkonen quando lo ha battuto, la guidava lui quando ha perso contro Vettel due campionati quasi vinti. A Maranello ha vinto come Massa 11 gare,  meno di Schumi, Lauda, Ascari e Vettel, ma più di tutti gli altri che pure sono diventati anche campioni del mondo.

 

“Nessuno sa chi è stato il migliore pilota. A ogni stagione continuiamo a cambiare opinione. Per molti anni abbiamo pensato che Michael Schumacher fosse imbattibile e che forse avesse raggiunto un livello che nessuno aveva toccato nella storia della Formula 1. Ma, nel corso della storia di questo sport, abbiamo visto diversi piloti dominare: è impossibile confrontarli”. Per una volta ha scelto la via diplomatica. In cuor suo probabilmente darebbe un’altra risposta. “Ci sono piloti che sono in una forma incredibile in questo momento e li rispetto tutti. Ogni pilota in griglia ha molto talento, ma anche io sono in quel gruppo e ognuno in quel gruppo ha diversi punti di forza e di debolezza. È il modo in cui usi quei punti di forza e di debolezza che ti distingue”. Ha ancora voglia di farci vedere come li sa usare lui. Intanto ha già chiesto una parte nel prossimo film di James Bond. Le missioni impossibili sono il suo forte.

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