Ambra Sabatini ai Giochi Paralimpici Tokyo 2021 

Il Foglio sportivo

“L'oro mi ha cambiato la vita”. Intervista ad Ambra Sabatini

Umberto Zapelloni

“All’inizio gli sguardi degli altri mi preoccupavano. Nascondevo la protesi. Ora la faccio notare. E la mia vita è più piena”. Parla la campionessa paralimpica dei cento metri piani

Ambra va veloce. Dal giorno del suo oro paralimpico a Tokyo non si è più fermata. È passato quasi un anno da quando la fotografia delle tre azzurre sul podio dei 100 metri ha occupato le prime pagine dei quotidiani italiani. Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto sono diventate le ragazze copertina di quei Giochi e del movimento paralimpico che aveva bisogno di nuove facce oltre a quelle ormai eterne di Alex Zanardi e Bebe Vio. Quell’oro ha cambiato la vita di Ambra quasi quanto l’incidente del giugno 2019 che le ha tolto per sempre la gamba sinistra, ma le ha aperto un nuovo percorso.

 

“Ho sempre amato lo sport. Da bambina facevo pattinaggio artistico, poi ho cominciato con la pallavolo perché era uno sport un po’ più dinamico, ma dentro un palazzetto mi sentivo oppressa e così ho provato con l’atletica, anche perché avevo un sogno: arrivare alle Olimpiadi. Ho cominciato a correre tornando a casa dagli allenamenti di pallavolo, facevo più o meno cinque chilometri … non mi sono più fermata”. Al Palio dei Comuni, il meeting per le scuole prima del Golden Gala, incontra Jacopo Boscarini che poi sarebbe diventato il suo primo allenatore. “Lui mi chiese di fare atletica sul serio. E così cominciai con il mezzofondo con  buoni risultati a livello regionale, fino a un ottavo posto nazionale sui 2 mila”.


Stava andando ad allenarsi in motorino dietro a suo papà quando un’auto ha invaso la corsia. “Non ho mai perso conoscenza in ambulanza fino a Careggi. In ospedale dicevo a tutti di sbrigarsi perché dovevo andare all’allenamento. Poi, quando ho capito, ho cominciato a pensare a Pistorius, a Martina che avevo visto in gara a Grosseto. Nella mia testa ho deciso subito che avrei continuato a fare sport e ho pensato: meglio se la amputano del tutto piuttosto che lasciarmi zoppa. Volevo tornare a correre. Sapevo che con una protesi sarebbe stato possibile. Non mi sono data per vinta. Ho solo cambiato specialità…”. A sostenerla sono arrivate decine di messaggi: Martina, Alex, Tania Cagnotto, la Pellegrini, Paltrinieri, Detti. Tutta benzina in un motore che si era già messo in moto. “Sono stata fortunata. Molte persone dopo un incidente come il mio devono reinventarsi, trovare una via per esprimersi ancora. Io ce l’avevo lì a portata di mano. Volevo fare l’atleta e avrei continuato a farla. Per questo dici sempre a tutti di fare sport o almeno di avere un interesse forte, una passione. Ti aiuterebbe in caso ti trovassi di fronte un ostacolo. Io ne ho trovato uno grandissimo, ma lo sport mi ha aiutata tantissimo”.


“Dopo l’oro siamo state inghiottite in un vortice di eventi uno più bello dell’altro. Abbiamo incontrato il Presidente Mattarella, il Papa… e ogni incontro ci ha aiutato a capire bene quello che avevamo fatto. Poi però è arrivato il momento di ricominciare, di rimboccarci le maniche anche perché sono solo all’inizio della carriera”. Finita la festa, la vita è cambiata per davvero. “Ho deciso di trasferirmi a Roma nella caserma delle Fiamme Gialle per allenarmi al Centro Sportivo di Castel Porziano. A casa mia nel grossetano non avevo possibilità di allenarmi bene. La scelta della caserma può sembrare strana, ma per me è l’ideale, stare con la squadra, allenarsi tutti insieme è sempre stato un mio sogno”. Nuova camera con poster di Tokyo alle pareti. “Non poteva mancare. È sempre bello rivedere quel giorno. La medaglia l’ho lasciata a casa, pensavo che l’avrei guardata e toccata tutti i giorni, invece adesso è un po’ che non lo faccio”. Ha in mente nuovi traguardi con vista sui Giochi di Parigi. Prima di tutto ha ritirato la sua prima macchina (una Toyota, sponsor degli atleti olimpici e paralimpici): “Sono contenta così sono più autonoma. Dalla caserma a casa ci vogliono al massimo due ore”. E poi c’è il fidanzato Alessandro che non abita lontano


La mia giornata tipo inizia con l’allenamento verso le 9.30 per evitare il grande caldo. Verso mezzogiorno pranziamo, poi nel pomeriggio mi dedico alle attività di comunicazione o esco con gli amici. Mi ero iscritta all’università, Scienza della Comunicazione. Ingenuamente pensavo di riuscire a frequentare, poi però volendo dedicarmi di più all’atletica ho messo in pausa il progetto. Ci proverò seguendo i corsi online”. A soli 20 anni Ambra ha comunque già chiaro in testa che cosa fare da grande: “Mi piacerebbe allenare o fare la dirigente e rimanere comunque nell’ambito dello sport. Il mio sogno è di veder costruire una pista nella zona di casa mia. Qui ci sono tanti ragazzi che vorrebbero praticare l’atletica, ma manca la possibilità, non c’è la pista”.  


Lo sport è la sua vita. “Oggi tra noi atleti paralimpici c’è vera competizione. Con Martina ci piace rubarci a vicenda il record del mondo. Dallo sparo al traguardo siamo avversarie. Ma per il resto lei è il mio mito e siamo amiche vere. Anche con Monica. Abbiamo caratteri molto diversi, ma quando passo le giornate con loro sto sempre a ridere. L’emozione che ho provato su quel podio e in quei giri di pista con la bandiera è un’emozione che spero di riprovare in fretta perché quel giorno è stato magico. Si è realizzato tutto quello che sognavamo con il podio tricolore, il record mondiale, Monica che ha battuto l’indonesiana che ci avrebbe rovinato il podio”.


Sulla pelle si è tatuata la frase “Perfettamente imperfetta”, scritta in inglese, Perfectly Imperfect. “È il mio motto. Me lo sono tatuato sul fianco tornando da Tokyo. Le imperfezioni sono quelle che ci rendono unici, perfetti”. È l’effetto che le fa guardarsi allo specchio. “All’inizio ho avuto un periodino in cui mi preoccupavo degli sguardi addosso. Poi ho capito che non devi farti fermare dall’ipotetico giudizio di uno sconosciuto. Adesso vado al mare senza protesi perché poi quando mi tuffo mi piace sentire il mare. All’inizio la nascondevo un po’, quasi mi vergognavo. Adesso invece quando non si vede cerco di farla notare anche scegliendo certi abiti. Alla fine la protesi è qualcosa in più. Non è stato facile imparare a camminare, all’inizio era tutto un saltellamento, sentivo la protesi come un corpo esterno, estraneo, pesante, non pensavo che ce l’avrei fatta, ma poi mi ci sono abituata, è stata come una magia e adesso la mia vita è più piena di prima dell’incidente”. 


Oggi le protesi, sia quelle per praticare lo sport che quelle per muoversi tutti i giorni, sono molto sofisticate, ma anche molto costose. Una delle battaglie di Martina e delle sue compagne è quella di aggiornare il nomenclatore tariffario delle protesi per fare in modo che gli aiuti economici delle Asl siano validi per le protesi di ultima generazione (elettroniche e non solo meccaniche): “Sarebbe una spesa destinata a rientrare perché certe protesi aiuterebbero la gente a lavorare. Non parlo di protesi per fare sport, ma per potersi muovere normalmente tutti i giorni”. Ambra è fortunata. Ha degli sponsor come Ottobock, Inail e Adidas che l’aiutano. E poi ha prestato il suo volto giovane e sorridente ad Autostrade per una campagna sulla sicurezza stradale. Chi meglio di lei che ne è stata una vittima. “È un tema che mi sta veramente a cuore”.

 

È inutile spiegarne il motivo. Ambra chiede una sola cosa. Di non chiamarla eroe. “In Rising Phoenix c’è una frase che dice: alle Olimpiadi si creano eroi, alle Paralimpiadi arrivano gli eroi, ma io non sono del tutto d’accordo. Noi siamo così perché siamo nati così o perché abbiamo avuto un incidente. Ma quel qualcosa è soltanto una briciola di noi. Non è nulla. Affrontiamo la vita come tutte le persone, abbiamo solo un ostacolo da saltare come capita a tante altre persone. Non chiamateci eroi, anche se ci fa piacere essere di ispirazione. Però anche Cristiano Ronaldo ispira i bambini a giocare a calcio. Tutti gli sportivi possono esserlo...”. 

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