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L'Olimpia di Ettore Messina è campione d'Italia. Ed è pronta per dare l'assalto all'Europa

Umberto Zapelloni

Milano torna a cucirsi uno scudetto sul petto, strappato alla Virtus Bologna. In un anno il coach ha ricostruito la squadra, ha commesso forse qualche errore di bulimia ma alla fine l’idea di portare a casa Melli da vice capitano, di dargli responsabilità enormi in campo, ha pagato

Milano non era mai stata capitale dello sport. Della moda, dell’economia, dell’informazione. Ma mai aveva vinto nella stessa stagione gli scudetti del calcio e del basket. Il milanista Ettore Messina ha firmato l’impresa con l’Olimpia raddoppiando la festa in città. È il quarto scudetto dell’era Armani che negli anni pari (2014; 2016; 2018 e 2022) non sbaglia un colpo (nel 2020 il campionato fu sospeso). È probabilmente il più bello perché è un nuovo punto di partenza per puntate all’Europa, un giardino dove Messina ha già colto i fiori migliori con Bologna e CSKA Mosca portandosi a casa quattro coppe. In italia soltanto Bianchini e Recalcati avevano vinto scudetti con tre società diverse. Oggi nel club dei campionissimi dopo i successi con Treviso e Bologna c’è anche l’ex ragazzo che 19 anni dopo torna a cucirsi uno scudetto sul petto. Lo fa da presidente e allenatore, da padrone assoluto di un’Olimpia che però, senza la passione di Giorgio Armani e di Leo Dell’Orco, non andrebbe da nessuna parte, altro che portare 12 mila tifosi colorati di rosso al Forum.

  

 

Milano non ha vinto perché ha il budget più grande. Lo aveva anche quando ha perso 4-0 in finale come lo scorso anno. Ha vinto perché ha costruito una squadra vera che nel momento della sofferenza e della delusione per l’eliminazione dalle Final Four europee, ha trovato le energie per battere una Virtus Segafredo Bologna che resta una signora squadra e il suo obbiettivo stagionali (qualificarsi per l’Eurolega vincendo l’Eurocup) lo aveva già raggiunto. Bologna ha una super squadra e l’impressione è che nei prossimi anni ritroveremo spesso queste due in finale a battersi senza limiti di colpi. Bologna dovrebbe imparare a rispettare la sua storia ed evitare di insultare sempre l’uomo che l’ha fatta vincere tanto, quel Messina che oggi è il condottiero avversario. Rispettare gli avversari prima di insultarli. Tifare a favore, non contro. Questo scatto in più renderebbe una sfida bellissima davvero indimenticabile.

  

In un anno Messina ha ricostruito la squadra, ha commesso forse qualche errore di bulimia (aveva già esaurito gli ingaggi quando il CSKA si è sciolto: Hackett o Shengelia avrebbero fatto comodo). Ma alla fine l’idea di portare a casa Melli da vice capitano, di dargli responsabilità enormi in campo, ha pagato. Nicolò che era uno dei ragazzi d’oro del primo scudetto targato Armani (con Gentile e Hackett) è tornato con muscoli, esperienza, talento e oggi è un trascinatore assoluto. Mettetegli accanto le magie del Chacho, il cemento armato di Hines, le acrobazie di Shields e l’inesauribile Datome e avrete una squadra fatta di uomini veri come amava dire Dan Peterson della sua banda bassotti. Se poi a questi protagonisti aggiungi Ricci, Hall, Baldasso, Bentil, Biligha, Grant, Alviti, Tarczewsky e Delaney fino a che è stato intero, ecco completato un roster che è una buona base di partenza per l’Olimpia del futuro, quella che cambierà ancora pelle, per dare l’assalto all’Europa. La vera missione di Messina. Lui è venuto qui per quella coppa. Inutile raccontarci storie.

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