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Il Foglio sportivo

La brutta piega dei tifosi inglesi

Roberto Gotta

Il perenne “addio al celibato” dei nuovi hooligans sta diventando un problema

Tifosi, argomento caldo. Tifosi inglesi, argomento caldissimo. No, non c’entra il prepartita della finale di Champions League, dai risvolti ancora oscuri. Non c’entra e non serve: è infatti tutta la stagione che l’atteggiamento dei tifosi inglesi lascia qualche perplessità. Invasioni di campo, cori irrispettosi, violazioni delle norme di sicurezza e del buonsenso, comportamento generale riassumibile nella definizione data dal collega Rory Smith: un perenne addio al celibato, uno status al quale non puoi opporti pena l’accusa di seriosità e bacchettonismo. Non sempre violenza in sé e per sé, dunque, ma mancanza di senso della misura, di buon gusto, di rispetto, una percezione di impunità che ha progressivamente preoccupato anche gli osservatori meno moralisti e gli addetti ai lavori. Tanto che durante il ritiro della nazionale dell’Eire, mercoledì, anche Enda Stevens, il difensore dello Sheffield United, ha manifestato la forte preoccupazione di calciatori e allenatori per le invasioni. Stevens non parlava a caso: nello straripamento dopo la semifinale dei playoff-promozione in Premier League, vinta dal Nottingham Forest ai rigori proprio sullo United, un tifoso del Forest aveva colpito con una testata l’attaccante ospite Billy Sharp, mentre due giorni dopo Patrick Vieira, allenatore del Crystal Palace, ha dovuto difendersi con un calcione dalle molestie di un tifoso dell’Everton, andato oltre il buon gusto nel festeggiare la salvezza della propria squadra. E sempre a Nottingham, il 6 febbraio, un tifoso del Leicester City era entrato in campo e aveva preso a pugni i giocatori del Forest che esultavano per uno dei gol nel 4-1 di Coppa d’Inghilterra.

 

Inghilterra-Italia di sabato prossimo del resto si giocherà a porte chiuse, a Wolverhampton, per la punizione inflitta dalla Uefa agli inglesi dopo i disordini di Euro 2020, che hanno dato il via simbolico a questa difficile annata. È vero che nel caso di Wembley erano numerosi i non-tifosi, semplici teppisti che hanno cercato di introdursi nello stadio spaventando i supporter normali, ma la testimonianza di molti presenti e il rapporto ufficiale sui fatti di quel giorno suonano sinistramente simili (“persone sprovviste di biglietto, ubriache e strafatte”) alle osservazioni fatte nel corso della stagione sui tifosi più indisciplinati, minoranza ma molto evidente: aggressività non più repressa, goliardia priva di senso della misura, atteggiamento di sfida, consumo spudorato di alcool e droghe (specialmente cocaina), magari uno sfogo collettivo, una volta riaperti gli stadi dopo un anno intero di partite a porte chiuse e – in mezzo – il progetto di Superlega che ha causato in Inghilterra una fortissima reazione negativa e una forte avversione verso le autorità. In più, a questo atteggiamento si sono abbinate manifestazioni storicamente sconosciute in Inghilterra, frutto di una contaminazione con atteggiamenti appartenenti a culture differenti: un crescente uso dei (vietatissimi) fumogeni, la pretesa di delegazioni di tifosi di avere un colloquio con un dirigente (o la squadra) al centro tecnico e lo scoppio notturno di petardi sotto l’hotel di squadre avversarie. Protagonisti negativi negli ultimi due casi i tifosi dell’Everton, peraltro caldissimi in senso positivo quando c’è stato da sostenere la squadra, ma poteva accadere ovunque proprio per la fusione di questa indisciplina in una sorta di globalizzazione del tifo nella quale spariscono gli elementi di identità nazionale e prevale l’emulazione. Se un tempo al tifo continentale tutta apparenza, striscioni, fumogeni e coreografie, gli inglesi e gli scozzesi potevano contrapporre orgogliosamente il loro carico di voce ed entusiasmo, ora la mescolanza di elementi ha cancellato la genuinità. Al netto del tremendo periodo hooligan, il tifoso inglese tradizionale ha sempre cercato di divertirsi senza voler diventare protagonista, di influire e magari intimidire senza infilarsi narcisisticamente nella narrazione, ma ora qualcosa sembra essere cambiato, anche per via dei social media e degli infiniti profili che mettono in risalto la quantità più che la qualità. Ed è più facile ottenere like sventolando un fumogeno che con un canto ben fatto o ironico. Con tanti saluti, però, a ciò che per decenni ha reso unico, o perlomeno diverso dagli altri, il tifo britannico.

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