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obiettivo 84

Nella lotta scudetto tra Milan e Inter l'unica certezza è l'aritmetica

Giuseppe Pastore

I rossonesi battono la Fiorentina a San Siro, i nerazzurri l'Udinese alla Dacia Arena. A tre gare dalla fine la squadra di Pioli ha ancora due punti di vantaggio su quella di Simone Inzaghi

A tre partite dalla fine di questa spossante volatona-scudetto, combattuta nella pioggia e sotto il sole, con i muscoli e con le astuzie, coi lanci lunghi e con la costruzione dal basso, abbiamo la prima certezza aritmetica: lo scudetto si vincerà a quota 84 punti, non uno di più. Se sarà il Milan a raggiungerla, basterà; se sarà l'Inter, dovrà sperare che il Milan ne faccia almeno uno in meno. Ottantaquattro era più o meno la quota ipotizzata da tutti i pronostici di fine marzo, pronostici che coinvolgevano anche il Napoli nel frattempo uscito di scena per dispersione. A proposito, recuperate l'intervista di Dries Mertens dopo la festa mesta contro il Sassuolo per leggergli sul viso tutta la tristezza di cui può essere capace un napoletano quand'è ispirato – e non v'è dubbio che Mertens sia un vero napoletano.

 

Procediamo in ordine cronologico. Il Milan ha meritato di vincere una partita che ha condotto col suo passo abituale, un rapportone da Gran premio della montagna di seconda categoria sufficiente contro avversari al lumicino delle energie psicofisiche come la Fiorentina bella e fin troppo sofisticata nel suo gioco cerebrale che si schianta puntualmente sulla modesta realtà delle sue punte (ieri i titolari erano Gonzalez, 4 gol, Saponara, 3 gol, e Cabral, 2 gol). Riemersa da una settimana terribile, la Viola ha opposto una resistenza molto più gagliarda della Lazio di domenica scorsa, sfiorando anche il vantaggio con una zuccata da cinque metri di Cabral su cui il prodigioso Maignan ha dimostrato ancora una volta che il popolo milanista dovrebbe smetterla di maledire il povero Raiola, ma anzi accendergli un cero per lo straordinario colpo di fortuna che gli ha accidentalmente procurato la scorsa estate.

 

 

Il Diavolo è nei dettagli e ancora una volta le sue fortune passano da un'altrui distruzione dal basso, non grottesca come quelle di Meret e Radu ma ugualmente enigmatica. Non è chiaro, almeno ieri, quali vantaggi abbia procurato una strategia così estrema come quella attuata dal prode Terracciano, ripetutamente istruito da Italiano ad avviare l'azione coi piedi: le uniche occasioni viola sono arrivate da un corner e da un cross dal fondo. In queste ore in cui si celebra doverosamente un monumento di longevità come Carlo Ancelotti, è giusto ricordare che anche Ancelotti iniziò la carriera da integralista, capace di rifiutare Baggio e sbarazzarsi di Zola in nome dell'Idea, finché le circostanze del calcio e della vita non gli fecero riconoscere l'errore. Come tutti i giovani di talento, anche Italiano è innamorato dei propri princìpi, con cui del resto ha mandato in tilt il Milan di Pioli due volte su tre. Ma la vita di una squadra di vertice – com'è per esempio questo Milan, meritatamente primo in classifica a tre giornate dalla fine – è una continua discesa a patti con quei princìpi, un continuo rimodularli a seconda del contesto e del momento emotivo, perché giocare a La Spezia non è la stessa cosa che farlo davanti a 75 mila tifosi. Il Milan che tante volte quest'anno s'era inceppato davanti al peso delle proprie aspettative ha imparato a scollinare gli ostacoli con lucidità, calma e intelligenza, andando oltre due errori clamorosi di Giroud e Leao, alla fine approfittando anche di una condizione fisica di nuovo ottima che gli fa vincere le partite nei secondi tempi, e che rappresenta un gran bell'asso nella manica per le ultime tre giornate.

 

Spalle al muro, costretta ai tre punti, l'Inter non si è lasciata andare; anzi, ha vinto bene in casa di una delle squadre più in forma dell'ultimo mese, anche se nel finale affannato ha palesato di nuovo il difetto che l'aveva fatta franare a Bologna. Parte benissimo, domina, dà la sensazione di poter dilagare; poi tanti suoi giocatori, soprattutto i più stagionati, cedono alla tentazione della speculazione intelligente. Ad ogni modo, dopo l'1-2 di Pussetto, l'Udinese al pareggio non ci si è nemmeno avvicinata e solo la dabbenaggine di Correa ha impedito al punteggio di avere dimensioni più rotonde: il crash-test è stato superato.

 

 

I giocatori dell'Inter hanno la faccia di chi farebbe sinceramente fatica a spiegare come hanno fatto a perdere questo campionato: con il miglior attacco, con la miglior difesa, con l'esperienza di uno scudetto appena vinto, con un gioco armonioso che sgorga naturale nelle tante giornate ispirate. La fragilità dell'Inter è uno dei misteri meglio custoditi d'Italia: ogni tanto è saltata fuori senza preavviso, ha attaccato in pochi minuti i centri vitali della squadra e ha sempre prodotto disastri. Più volte interpellato sull'argomento, non ha saputo spiegarsela nemmeno Simone Inzaghi. Questo male oscuro, riesploso a Bologna, suona come qualcosa di metafisico, di paranormale, un malessere bergmaniano che scava le facce dei Perisic, dei Brozovic e degli altri lunatici campioni nerazzurri.

 

È una bella suggestione giornalistica il fatto che gli ultimi tre avversari del Milan siano tre suoi nervi scoperti. Il primo tira in ballo la Storia, il Verona fatale, e non c'è dubbio che lungo la settimana verranno febbrilmente consultati tutti gli almanacchi disponibili sul 1972-73 e sul 1989-90. Il secondo è l'Atalanta, che il Milan non batte a San Siro dal 2014 (in panchina c'era ancora Allegri, in campo c'era ancora Kakà) e che nel dicembre 2019 inflisse a Pioli una scoppola umiliante che costrinse la società a cambiare tutto e ripartire da Zlatan. L'ultimo è il Sassuolo, secchione e fastidioso agli occhi dei metropolitani, la squadra senza tifosi e senza ambizioni che si permette di palleggiare in faccia ai primi in classifica e quest'anno ha vinto in casa delle tre grandi del Nord. Tutte e tre queste squadre compongono la provincia rumorosa che lavora bene e che si diverte un mondo a mettere i bastoni tra le ruote ai ricchi che lavorano male. Sono un test perfetto per misurare nuove e antiche ambizioni. Se il Milan sarà grande, le batterà. Se il Milan le batterà, sarà grande. Ogni tanto, in fondo a questi labirinti, il calcio ritrova la sua semplicità.

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