Foto tratta dalla pagina Facebook della Viareggio Cup  

La Viareggio Cup, che fu Coppa Carnevale, non è più una ruspante gloria casalinga

Enrico Veronese

Fino al 30 marzo, tanto del meglio del calcio giovanile si gioca in Toscana uno dei tornei più prestigiosi dedicati ai giovani. In questo calcio iperprogrammato c’è ancora spazio per l’imprevedibile evenienza del tempo reale

C’era una volta la Coppa Carnevale. A cavallo tra le maschere e la Quaresima, gli osservatori delle squadre di Serie A calavano a Viareggio zeppi di blocchetti da riempire in tribuna con valutazioni a crocette, come Vittorio Scantamburlo quando si imbatté nel giovanissimo Alessandro Del Piero. Tra i figli degli operai di provincia e gli allievi delle scuole calcio metropolitane, partecipavano anche squadre universitarie dell’est e blasoni sudamericani con le primizie in offerta, selezioni assemblate da vari team del fu terzo mondo calcistico a scopo promozionale. In Versilia, allora come oggi, allignava il brivido dell’esotico, che portava a immancabili contratti “di apprendistato” firmati tra un tempo e l’altro della partita: prima che altri mettano le mani sopra l’ultimo, imperdibile crac a poche lire.

Ora invece la Viareggio Cup da ruspante gloria casalinga – un tempo massimo evento del calcio giovanile italiano e non solo – si dota del pomposo esergo anglofilo “World football tournament”, a prendere atto della realtà, e nemmeno si disputa più allo stadio dei Pini: sei gironi eliminatori per scremare le 24 società, 17 italiane e sei toscane – tra cui la Fiorentina di Lorenzo Chiesa, figlio di Enrico e fratello di Federico – entro sedici terreni di altrettante località, a coprire tutta la fascia marittima, con sconfinamenti nella Lunigiana ligure e addirittura a Ferrara per il match tra la Spal e lo United Youth Soccer Stars di New York. È soprattutto l’interesse esterno a scivolare: con la Youth League, i video di skill caricati su YouTube, Football Manager che si è scoperto aiutare i direttori sportivi nel fare mercato di sorpresa, i campionati Primavera trasmessi da Sportitalia al mattino, pare ci sia meno bisogno per gli addetti ai lavori di scapicollarsi lungo la dorsale tirrenica per scrutare virgulti futuribili nati dopo il 2003.

Iniziato mercoledì, il torneo trasmesso da Rai Sport terminerà quindici giorni dopo (il 30 marzo) sopra le zolle sintetiche di Pontedera. Le rose riflettono il dopo Bosman: sempre meno spazio ai gioielli del territorio, non pochi – ad esempio tra le speranze del Bologna – hanno già all’attivo qualche panchina in Serie A.

L’Inter, che negli ultimi anni ha fatto razzia di titoli giovanili al pari di Atalanta ed Empoli, è già partita col piede giusto, stracciando le Jovenes Promesas spagnole grazie al terzo degli Esposito, Francesco, mentre il fratello Sebastiano intanto fa i numeri al Basilea. I nerazzurri sono pronti così a consolidare così una recente tradizione, che li ha visti per esempio spedire Filip Stanković e Gaetano Oristanio al Volendam, lanciato (anche grazie a loro) verso la promozione in Eredivisie. In campionati come quello olandese, del resto, è la regola dar spazio ai minorenni anche stranieri, inviati dalle big per farsi trovare pronti al rientro.

  

Rispetto a quando erano imbronciati, timidi e con la zazzera à la Paolo Tassoni (il protagonista di “Ultimo minuto” con Ugo Tognazzi), i diciassettenni in campo vantano frange ricce e scomposte, da anni covano il loro pravo procuratore, annoverano migliaia di follower e, cittadini del mondo, non hanno remore nell’iniziare spesso la carriera professionistica fuori dai propri confini. Eppure anche in questo calcio iperprogrammato c’è ancora spazio per l’imprevedibile evenienza del tempo reale: solo giocandoci contro, giovedì sera, Mourinho (che non è Oronzo Canà) ha ammesso di aver scoperto il talento del terzino tuttocampista Dasa e la costruzione dal basso del Vitesse di Arnhem.

In molti si chiedono se la stella di marzo sarà il nigeriano Ahmed, tripletta all’esordio contro i viola, o (serendipity) esploderà qualche Kevin locale. E il pensiero va a coloro che da questi stadioli comunali al primo sole, dove passano treni direttissimi altrove, hanno costruito la prima pietra verso la rispettiva affermazione: Immobile, Cavani, Pandev, Kjaer, il Papu Gomez, l’ultimo grido Vlahović. O soprattutto a quelli che, dopo aver sfondato a Viareggio, sono stati solo un fuoco di paglia: Martins, Corvia, Lanzafame, Daud, Rej Volpato… Ma questi giovani d’oggi, si sa, vivono il momento e con l’orizzonte alla prossima giornata. E in un quadro capace di stravolgere ogni certezza è davvero meglio così.

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