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Il Foglio sportivo
C'è ancora un Ganz e segna semper lu...
I gol di Simone a Lecco, in Serie C: nel 2022 nessun calciatore nei campionati professionistici italiani ha segnato tanto quanto lui
Simone Andrea Ganz ha solo parole di affetto per suo padre Maurizio, ma quando fai l’attaccante di lavoro, girare l’Italia con un cognome così può anche risultare ruvido. “Se fai bene pare scontato, perché d’altronde sei il figlio di Ganz, ma se sbagli finisci subito per essere bollato come ‘raccomandato’. Hai sempre gli occhi addosso”. Dice che ha imparato a gestire la cosa e tira dritto, si è fatto forte anche grazie alle parole di suo padre, che era chiamato “El segna semper lu” ed un motivo c’era, dato che ovunque è andato, negli anni Novanta, si è fatto conoscere a suon di reti, “ma chiunque lo ha incontrato parla di un uomo che è stato prima di tutto umile, terra terra, mai pieno di sé, e così mi ha educato ad essere”. Oggi, a 29 anni, Simone Andrea Ganz – uscito dal vivaio del Milan con cui ha brillato a un torneo di Viareggio e ha pure esordito in Champions, poi una carriera da punta malefica tra Serie B e C – si gode un piccolo record singolare che è la sintesi di come, a volte, il bello del calcio accade là dove non te lo immagini, basta pazientare: nel 2022 nessun calciatore nei campionati professionistici italiani ha segnato tanto quanto lui, che con la maglia del Lecco, Serie C, ha fatto 8 reti (e propiziato un autogol, giusto mercoledì sera con la Giana) in nemmeno 2 mesi di calcio.
“E pensare che prima della gara con la Triestina non dovevo giocare”. Era solo il 29 gennaio, Simone pareva dovesse lasciare i blucelesti, che erano impantanati in una stagione ambigua: partiti benino, poi crollati in autunno – con esonero di mister Zironelli – ora sono nel pieno della resurrezione sotto De Paola, nonostante qualche immancabile magagna societaria, gli addii dei migliori, gli infortuni e i giovanotti a sgobbare. Ganz, che non è più un ragazzino e da settembre a gennaio aveva fatto solo 2 reti, si è ritrovato al centro e ha risposto al meglio: in 7 partite ha timbrato il cartellino praticamente sempre, in 5 vittorie, 1 pareggio e 1 sconfitta.
“I primi mesi qui sono stati tosti: lo spazio era poco e poi arrivavo da alcune stagioni passate a Como, storica rivale del Lecco”. Ad agosto, quando si seppe del trasferimento su questa sponda del Lario, qualche vecchio tifoso gli scrisse con durezza, altri non condividevano la scelta, “e pure qui qualcuno mi ha accolto con scetticismo. Per carità, le critiche fanno parte del calcio e sapevo che sarebbero arrivate. Ma siamo professionisti e cerchiamo di andare avanti per la nostra strada”. Nel parlare con lui appare chiaro come dietro a ogni calciatore ci sia una persona, con i suoi sogni, le sue difficoltà, la sua prospettiva con cui approccia il lavoro. Ancor più in Serie C dove non c’è tutto l’agio e la serenità dei campionati superiori e per tanti ragazzi a ogni estate occorre reinventarsi là dove le opportunità chiamano: “Facciamo il lavoro più bello del mondo, sì, ma non siamo pedine. Rifarei sempre la scelta di venire a Lecco, e spero che anche i tifosi inizino ad apprezzarmi di più per il professionista che sono”.
Ironia della sorte, è quanto accadde anche al padre Maurizio, negli anni Novanta, quando Simone era bambino: esplose al Brescia in B ma fece il salto di qualità in A con l’Atalanta, con l’Inter fu capocannoniere in Coppa Uefa ma poi passò al Milan dove vinse uno scudetto. “È una cosa di famiglia, evidentemente, anche se certo lui ha vissuto queste rivalità a livelli altissimi, e con cambi di maglia più repentini”. Si dirà che le bandiere non esistono più e altri cliché del caso, resta la fame di gol e l’ansia di spazio che ha mosso ogni passo di Maurizio e, oggi, di Simone: “E permettetemi, far ricredere le persone su di te è la cosa più bella che ci sia dal punto di vista umano”.
Anche perché il calcio, per l’attaccante del Lecco, non è mai stata una cosa scontata: “Papà non mi ha mai messo pressione affinché ci giocassi, è sempre stato vicino ma senza torchiarmi. E questa è stato prezioso: non ha mai voluto mettere un traguardo cui dovevo arrivare, e io ho sempre potuto scegliere da solo”. Simone ha un’immagine chiara di suo padre: “Da bambino mi portava ad allenarmi con lui, io stavo fuori coi magazzinieri, poi a fine sessione entravo e mi divertivo a calciare”. Lo ha seguito a lungo vivendo nelle città dove il padre andava per lavoro – Firenze, Ancona, Modena – per poi stabilirsi a Milano, zona San Siro – mica per caso. “Quando ero piccolo lui era sempre impegnato: campionato, coppe, allenamenti… Eppure è sempre riuscito a essere presente nella mia vita, e lo è tuttora: quando può viene a vedere le mie partite, con la mamma”.


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