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“Le vittorie creano dipendenza”. Intervista a Giovanni Guidetti

Pierfrancesco Catucci

L'allenatore italiano ha vinto tutto in Turchia nel volley. E ora prova a continuare a farlo con Paola Egonu

La colonna sonora è degli U2 che cantano I still haven’t found what I’m looking for, la storia della continua ricerca dell’uomo di qualcosa di superiore in cui credere. Giovanni Guidetti li ama a tal punto che sua figlia di 5 anni si chiama Alison, come la moglie di Bono Vox. Quando indossa la tuta e va in palestra, però, crede solo nella vittoria e nel potere del lavoro per ottenerla. Così, l’allenatore di volley partito ragazzino da Modena e stabilitosi in Turchia nel 2008 dopo un lungo peregrinare, ha cominciato a vincere tutto. E non intende fermarsi. “La vittoria genera dipendenza. È la peggiore delle droghe e – ride – smetti solo quando ti rinchiudono in un centro terapeutico. Non ti basta mai, ne vuoi sempre di più”. Il Vakifbank Istanbul, dopo 14 anni di sua gestione, è lo specchio delle sue ambizioni: è il club femminile più ricco ed è sul podio delle squadre più forti al mondo, a giocarsi il gradino più alto con l’Imoco Conegliano. Con Guidetti in panchina ha vinto 4 Champions League, altrettanti Mondiali per Club e titoli nazionali a palate. E per l’anno prossimo ha già ingaggiato Paola Egonu, la più forte di tutte. Per non perdere l’abitudine a vincere. 

Che poi vincere non è mica un’abitudine da poco. “Non vinci se non costruisci, se non brami la vittoria con tutto te stesso, se non ti metti continuamente in discussione. Non vinci se non lavori per ottenerla e non credi fortemente nei tuoi obiettivi tanto da apprezzare la fatica”. La sua filosofia è tanto semplice, quanto complicata da mettere in pratica. “Anche a me, però, ogni tanto capita di non essere a mille. In quei momenti mi fermo e penso a chi ci segue. Abbiamo una responsabilità importante nei loro confronti e non possiamo tradirla. Perché nello sport si può anche perdere, ma noi vogliamo sempre essere sempre quelli che hanno lavorato più di tutti per vincere”. La sua storia al Vakif, d’altronde, è cominciata proprio così. Arrivato in Turchia dopo il doppio argento europeo vinto a sorpresa con la nazionale tedesca, il  primo anno a Istanbul fu un “disastro”, con l’eliminazione al primo turno dei playoff dopo la vittoria della regular season. “A fine stagione andai dal presidente, lo ringraziai e gli dissi che mi sarei dimesso perché avevo fallito. Lui mi chiese di restare: ‘Mi piace come lavori – mi disse – e sono sicuro che non commetterai gli stessi errori in futuro’. È questo il primo capitolo della nostra favola”. Ora il Vakif ha un palazzetto di proprietà – uno dei più belli al mondo – di 8 piani con ristoranti e anche mini appartamenti per le ragazze più giovani. È stata la prima squadra a spingere l’acceleratore sulla tecnologia durante allenamenti e partite e quest’anno, dopo aver mutuato da calcio e Nba un sistema che traccia ogni movimento delle giocatrici in campo, sta correndo sull’integrazione della realtà virtuale negli allenamenti quotidiani. “È il nostro modo per alzare continuamente l’asticella. Sappiamo perfettamente di essere tra le squadre più forti al mondo – prosegue il tecnico – ma proviamo sempre a pensare di avere qualcuno di più forte da superare”. Con questa filosofia l’allenatore modenese ha costruito una squadra a sua immagine e somiglianza: “Spesso nelle interviste (qualche volta, ormai, risponde anche in turco, ndr) mi chiedono come si faccia a mantenere alti gli stimoli dopo così tanti anni nello stesso club. Ogni tanto ci penso, ma poi rispondo che insieme alla società abbiamo costruito qualcosa di incredibile. Chi me lo fa fare ad andare da un’altra parte? Fino a che mi tengono, io non mi muovo da qui”. 
La Turchia, d’altronde, è diventata la sua seconda casa. O forse la prima, a maggior ragione dal 2017, quando la federazione gli ha affidato anche le redini della nazionale. Pronti via, il primo bronzo europeo (seguito da un argento e un altro bronzo, a settembre 2021), oltre al quinto posto olimpico della scorsa estate, il miglior risultato di sempre per una squadra che non si era qualificata a Rio 2016 e che aveva esordito ai Giochi solo a Londra 2012, dove chiuse nona. Per Guidetti, però, la Turchia è anche una questione di cuore: nel 2013 ha sposato la centrale Bahar Toksoy (con cui nel 2016 ha avuto Alison), sua giocatrice al Vakif per sette stagioni fino al 2015 e in Nazionale fino alla prima medaglia continentale. “I risultati degli ultimi anni hanno fatto esplodere la popolarità della pallavolo nel paese che, se non è ancora arrivata ai livelli del calcio, sicuramente ha sorpassato il basket. Mi capita spesso di essere fermato per strada o di sentire qualche strombazzata di clacson ai semafori per salutarmi. È una popolarità che mi ha aperto tante porte e che mi lusinga, ma che mi fa apprezzare ancora di più la fortuna che mi è capitata. Mi pagano per fare quello che più mi piace. Cosa potrei chiedere di più?”.

 

Nulla, ma Guidetti è uno abituato a dare, non solo a ricevere. E così, da qualche anno, assieme alla moglie, è diventato ambasciatore Onu per la parità di genere in Turchia. “Questo paese non è solo Istanbul, una metropoli multietnica e multiculturale, ma anche tante periferie. E così, con mia moglie, abbiamo dato vita al progetto ‘Yarinin sultanlari’ (Principesse del domani, in turco, ndr). Utilizziamo la nostra popolarità per andare nelle scuole dei paesi più poveri e più arretrati culturalmente per raccontare soprattutto alle bambine che esiste un futuro fatto di sport, arte, cultura... Che non devono per forza restare chiuse in casa e obbedire agli uomini, ma che lì fuori c’è un mondo tutto da scoprire. Il solo pensiero di aver contribuito a regalare un sogno a qualcuna di queste ragazze vale tante vittorie”. Non solo sport, dunque. Ecco perché da 14 anni è ancora seduto su quella panchina. Evidentemente il Vakifbank, un paio di decenni dopo l’uscita di uno dei pezzi più celebri degli U2, in The Joshua Tree, il loro album più bello, ha finalmente trovato ciò che stava cercando. 

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