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ascesa e declino gialloviola

Il cattivo esempio dei Lakers di LeBron James

Mattia Tiezzi

In questi quattro anni a Los Angeles il giocatore ha vinto un titolo da Mvp delle Finals. Ma per permetterselo i californiani hanno dovuto fare tanti, forse troppi, sacrifici. 

C’è una particolare analogia che rappresenta in maniera efficace gli ultimi anni dei Los Angeles Lakers, ed è quella con un filo. Il filo di una Parca. L’efficacia figurativa non è da ricercare nel significato macabro di fine di un’esistenza, ma di un ciclo. Ciclo che è cominciato con LeBron James e che finirà con LeBron James, unico manipolatore del rocchetto in cui è stato avvolto il destino dei gialloviola in questi anni.

Dopo tutto, dopo aver dato in mano al giocatore più influente della lega una delle franchigie più illustri e appetibili dell’intera l’Nba, come poteva essere altrimenti?

 

L'arrivo di LeBron James a Los Angeles

Del primo anno di James a Los Angeles resta solo tanta confusione. Dopo aver firmato un quadriennale da 153 milioni di dollari nell’estate 2018, “The Chosen One” trova ad aspettarlo ai Lakers una squadra promettente, ma immatura, nelle mani di Lonzo Ball e Brandon Ingram, e infarcita, in seguito, da una carrellata di veterani. L’annata, influenzata anche da un infortunio all’inguine sinistro, si concluderà per LeBron in una fallimentare prima assenza ai Playoffs dopo 13 stagioni, di cui le ultime 8 sempre concluse alle NBA Finals.

Alle tumultuose dimissioni di Earvin “Magic” Johnson dal ruolo di General Manager seguirà il licenziamento, tre giorni dopo, di coach Luke Walton. La tavola è dunque apparecchiata per una rivoluzione in pieno stile “lebroniano”.

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L’ascesa e il declino

In un progetto sul breve periodo, i primi a partire sono giocatori giovani, un po’ per il maggior valore in sede di mercato, ma anche perché necessitano sia di tempo per lo sviluppo, sia di soldi per un’estensione contrattuale. E così, Ball, Hart e Ingram si trasformano in Anthony Davis dopo uno scambio con i New Orleans Pelicans. Si è raggiunta la spannung del ciclo di James. I Lakers sanno c’è più margine di errore, che serve realizzare lo slogan: “Win now”.

E, a conti fatti, il primo anno è a dir poco redditizio.

 

Il titolo nella Nba Bubble di Orlando nel 2020 è un successo derivato di una gestione che sfrutta la forza polarizzante, elevata al quadrato, di LeBron e Los Angeles, e l’anno successivo ne arriva ulteriore conferma. Arrivano Montrezl Harrell e Dennis Schroeder, mentre il reparto lunghi guadagna Marc Gasol. Tutte aggiunte che significano una sola ambizione: il “repeat”. Ma le cose andranno in maniera leggermente diversa.

L’astro e l’estro di Gasol sono in fase calante, l’impatto di Harrell ai playoffs è nullo, mentre tra febbraio e marzo 2021 gli infortuni colpiscono prima Davis, tendine d’Achille e polpaccio destro, poi James, caviglia destra. Le condizioni pessime dei due, in aggiunta ad un ulteriore infortunio di Davis all’inguine, in Gara 4 del primo turno contro i Phoenix Suns, costringono i Lakers ad una prematura eliminazione.

  

L’inizio della fine

Dopo una stagione del genere, la consistenza delle scelte diviene quella del lancio di una moneta, sospesi fra testa, il titolo del 2020, o croce, le rovinose sfortune del 2021. L’unico potere nelle mani di una dirigenza è l’angolazione con cui fare il lancio.

Non è ancora possibile constatare se il risultato sarà testa o sarà croce, ma di sicuro il lancio della moneta dei Lakers non è stato dei migliori. L’arrivo di Russell Westbrook segna l’inizio della fase di decadenza, la rinuncia al tentativo di costruire un roster funzionale a favore di un ammassarsi confusionario di stelle, o ex-stelle. E poco importa se la spina dorsale del titolo 2020 sia stata scambiata in nome di un giocatore disfunzionale al fabbisogno di squadra e tanti veterani sfioriti, perché comunque ci si appellerà alla capacità di James di stupire tutti. Ma non è così che funziona.

Gli anni passano, l’Nba si evolve, e ciò che bastava l’anno precedente può diventare ininfluente l’anno successivo. Magari i Lakers, una delle franchigie di punta della lega, non avranno problemi a risorgere dalle proprie ceneri. Magari LeBron e Davis vinceranno un titolo con 48 minuti di media a testa e Westbrook in panchina. Ma non è così che funziona.

La verità è che, indipendentemente dai successi arrivati e che arriveranno, questi tre anni (e il prossimo) di terra bruciata sono il manuale di come non si costruisca un contesto vincente nel 2022, una forzatura compiuta in nome di uno spasmodico tentativo di rimettersi in piedi, nel caso dei Lakers, o di compiere un ultimo, rovinoso e autoreferenziale volo di Icaro, nel caso di LeBron James.

 

Mattia Tiezzi è responsabile della sezione analisi per aroundthegame.com

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