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Pattinare veloce verso Pechino. Parla Francesca Lollobrigida

Giorgio Burreddu

Due medaglie di bronzo agli ultimi Europei di pista lunga in Olanda e ora i Giochi olimpici. "La gente si ricorda di me o della mia squadra per le Olimpiadi invernali, per il resto dei tre anni non siamo veramente nessuno"

Ama i colori, quelli che si impiastricciava sui capelli e sulle unghie. "Color lavander. Uso lozioni inglesi, si chiamano crazy color. Tutto un programma. Adesso, con il Covid, faccio fatica a farmi pure il biondo normale". Odia il freddo. "In stanza trenta gradi. D’estate quasi dormo col piumone". Ma non è il ghiaccio che fermerà Francesca Lollobrigida, portento di velocità, talento, simpatia, tenacia, adrenalina. In fondo quella lastra sui cui scivolano i suoi sogni di atleta le sta dando tutto. Ultime, le due medaglie agli Europei di pista lunga a Heerenveen, in Olanda (bronzo su 1500 e 3000 metri). "Volevo rientrare nelle prime 6 su ogni distanza. Ovviamente le medaglie e le vittorie fanno piacere. Ma io e lo staff volevamo partecipare all’Europeo come ultima gara internazionale prima delle Olimpiadi anche se eravamo un po’ duretti nelle gambe". Da ragazzina vinceva sui pattini a rotelle. Dopo il 16esimo titolo mondiale ha detto basta, ed è passata al ghiaccio. Campionessa di tutto, la Lollo, 30 anni, di Frascati, pronipote dell’altra Lollobrigida, quella del cinema. La sua arte è il pattinaggio e tra poche settimane andrà alla terza Olimpiade della sua vita, a Pechino. "Non è che me le sogno, mi vengono in mente i giri, come può andare la gara, i tempi, i dettagli. Il nostro è anche uno sport mnemonico. Questa di Pechino non deve diventare un’ossessione, altrimenti poi è un incubo".

E allora cosa deve diventare?

"Non dico che è un punto di arrivo, ma è la mia terza Olimpiade. So di essere matura, di avere intrapreso un percorso che mi ha portato a non avere rimpianti. La strada che dovevo fare l’ho fatta. E adesso andrò a competere con quelle che fanno il massimo esattamente come me. Il livello delle donne si è alzato tanto, è veramente un orgoglio far parte di quelle poche che hanno contribuito a farlo. Mi rende orgogliosa. Non solo perché vengo dalle rotelle, ma anche per la situazione del nostro sport in Italia, che non aiuta. Non è una vita semplice”.

La sua com’è?

"Di qua e di là, sempre in giro. Mi sono sposata il 3 luglio, il 5 pattinavo in Polonia: ero in ritiro. Da settembre, sono tornata a casa una sola notte. È una scelta, non posso parlare di sacrifici. L’ho voluto io. È così: se uno vuole intraprendere questo sport nel nostro paese deve sapere quello a cui va incontro. Mi sento portavoce. Sempre più rotellisti vogliono raggiungere l’Olimpiade. Li incoraggio, gli sto indicando la strada".

Qual è il bello di cambiare sempre posto?

"Fai in tempo a non stufarti mai. E poi comunque viaggiare e vedere posti nuovi è sempre bello, mi piace, è una cosa che fa parte di me”.

E il brutto?

"Stare lontano da casa, quello è scontato ma è così. Stare a casa tua ti ricarica, di dà energie, io ho i miei gatti, li coccolo, magari guardo un film, relax. L’albergo è un’altra cosa”.

E come ha fatto a ricreare l’armonia da globetrotter?

"Le videochiamate con mio marito, lo chiamo talmente tanto che a volte mi blocca (ride ndr), magari mi fa vedere i gatti, o lui che sta a casa. È comunque importante avere qualcuno che sta lì, e io lo devo ringraziare perché mi supporta, mi incoraggia a fare questa vita. E poi Matteo è un atleta come me, sa cosa vuol dire”.

È severo?

"Anche, sì. A volte mi dico brava, mi assecondo. Lui no. Anche nell’ultima medaglia a questi Europei, lui cerca sempre di trovarmi un appunto, un dettaglio, qualcosa per spronarmi ancora di più".

Foto Grzegorz Michalowski POLAND OUT via Ansa

Quanto conta la testa nel suo sport?

"Tanto, conta più la testa delle gambe. E poi le sconfitte, le bastonate, quelle sono cose che mi hanno aiutato a lavorare sulla testa. E poi la vita che facciamo. Come ti svegli la mattina se stai sempre in albergo? Se non ti va, se non hai la testa, se fai le cose svogliatamente, non vai. Il mio è uno sport di fatica. Ma bisogna avere prima la testa delle gambe. Negli ultimi giri spesso non sono più una pattinatrice, tiro fuori di tutto, vado con altre sensazioni, l’ultimo giro di una 3.000 è carattere”.

 

Il suo è uno sport di velocità o di equilibrio?

"Di velocità. L’equilibrio è una caratteristica quando sei piccolo e inizi a farlo. Per chi ci guarda fa strano vedere come rimaniamo in equilibrio”.

Come persona il suo l’ha trovato?

"Ogni sportivo deve fare in modo di esserlo e di non esserlo. Se fossi tutta equilibrata questa vita non farebbe per me. Domenica, finita l’ultima gara degli Europei, mi sono cambiata, mentre il mio allenatore mi toglieva le lame, poi siamo andati in aeroporto, volo in ritardo di un’ora, arrivati in Italia, guidato a manetta in autostrada. Lunedì già in pista”.

La velocità è la sua adrenalina?

"Mi piace. I miei non mi hanno mai voluto regalare né il motorino né la moto. E dicono che prendo le curve come se stessi pattinando. La velocità è un tutt’uno con me”.

Sochi 2014. Che Olimpiade era stata?

"Qualifica nel 2013, a cavallo con il nuovo anno, e io ci ero arrivata dopo una serie di infortuni. Avevo ripreso da appena un anno. In pratica, ero all’esordio. Qualificarmi e arrivare lì è stata l’esperienza che mi ha fatto partire la scintilla. Piangevo di emozione tutto il tempo, è stato bellissimo. Ma è stato l’attimo in cui mi sono detta: voglio arrivare ad alti livelli".

Perché?

"Ho provato emozioni uniche, e vedere quelle che salivano sul podio mi ha acceso quella spia. Io ero giù, dall’altra parte. Ho rosicato".

Figuriamoci in Corea, quattro anni dopo.

"Lì è diventato fuoco. Ero campionessa europea, avevo fatto podi in coppa del mondo. Ero arrivata da favorita su una distanza, ma non è stato sufficiente. Se avessi vinto una medaglia, magari non staremmo qui a parlare. Ho preso quello che avevo sbagliato e l’ho utilizzato. Non è stato facile. Mi ricordo che dissi: basta, smetto. Poi sono andata avanti. E ho capito che non era sufficiente prepararsi per una gara, non solo per la mass start, quello non può rappresentare l’unico punto di tutta l’Olimpiade".

Cosa manca nel suo sport?

"Le strutture. Ma anche l’aspetto mediatico conta. La gente si ricorda di me o della mia squadra per le Olimpiadi invernali, per il resto dei tre anni non siamo veramente nessuno. Da una parte ci sono abituata. Nelle rotelle ho un curriculum che può competere con campioni di altri sport. Ma non è conosciuto. Però non credo sia solo questo”. 

È il sistema?

"È un discorso generale. Ho iniziato con il ghiaccio dopo Torino 2006, lì bisognava lavorarci di più. Sono contenta dei risultati che faccio, ma anche nel messaggio. Queste medaglie servono allo sport e al futuro di questo sport”.

Costa troppo?

"Come altri sport. Il fatto di spostarti, di andare in tanti posti, ha un suo costo. Mio padre ha consumato tre macchine per portarmi su e giù, a forza di chilometri. E poi serve la pazienza dei genitori, che ti supportano. A scuola chiedevo i programmi ai prof per stare al passo. Mi allenavo sotto la neve. Non è stato facile”.

L’obiettivo per il 2022?

"Non lo dico".

Scaramantica?

"Un po’, come tutti gli atleti. Ma non dico quello che voglio. Cerco di guadagnarmelo, di andare a prendermi quello che desidero".

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