Il rendering del nuovo Santiago Bernabeu, la casa del Real Madrid, che verrà costruito con oltre 7 mila tonnellate di acciaio, quanto la Torre Eiffel (foto Ansa) 

San Siro o un nuovo stadio? Milano perde tempo, prenda esempio da Madrid

Giuseppe Pastore

Viaggio nel cantiere del Santiago Bernabeu, la casa futuristica del Real con il prato che riposa a 35 metri di profondità

Semplicemente, un classico. Anzi: il classico. Cosa c’è al mondo di più classico di una maglia bianca con il logo del Real Madrid? Il classico, ma anche il moderno. Meglio: il futuro. Viene in mente un dialogo di “Chinatown” di Roman Polanski, quando il detective Gittes (Jack Nicholson) fronteggia l’ambiguo miliardario Noah Cross e gli chiede: “Che cosa può comprare ancora, che già adesso non abbia?”. “Il futuro, signor Gittes”. Florentino Perez ci scuserà per il paragone non troppo lusinghiero con uno dei personaggi più repellenti della storia del cinema, ma la visione è pressoché la stessa. Sicuramente una visione gigantista, megalomane: ma prima ancora di addentrarci nelle pieghe del progetto faraonico del nuovo Santiago Bernabeu, è utile fare un tour nel museo dello stadio per capire l’idea che il Madrid ha di sé e tramanda al mondo intero. Un’ininterrotta sequenza di alzate di coppa, un bagno di gloria e di trofei in 120 anni di storia. In sottofondo un pomposo “Nessun dorma”, a sottolineare la totale assenza di autoironia in questa clamorosa celebrazione di sé. La traduzione nel linguaggio dello sport di cos’è, e cos’è sempre stata, l'aristocrazia.

I rendering virtuali del nuovissimo Bernabeu riempiono da settimane i social e alimentano l’idea di un futuro “stadio più bello del mondo”. C’è eccitazione, c’è mistero – “il mio mistero è chiuso in me”, scrivevano del resto Adami e Simoni, i due librettisti della Turandot. Un mistero alimentato dall’ultima stazione del tour: un video di sette minuti imbevuto di tutta l’epica della costruzione, la casa che è anche patria e famiglia. Le cifre, elencate in tutte le brochure con voluttuosa precisione, sono esse stesse musica: 57.545 metri cubi di calcestruzzo, pari al volume dell’acqua contenuta nel laghetto artificiale del Parque del Retiro; oltre 7mila tonnellate di acciaio, quanto la Torre Eiffel; 46.500 metri quadrati di acciaio inox che compongono la superficie della facciata, ampia due volte quella del Museo Guggenheim di Bilbao. Il prato retrattile, smontato dopo ogni partita e riposto a 35 metri di profondità. Un tetto richiudibile, ovviamente, forse perché non sta più bene giocare a pallone sotto il diluvio, com’è capitato nell’ultima semifinale di Champions League contro il Chelsea disputata nel campetto intitolato ad Alfredo Di Stefano, nel centro sportivo di Valdebebas. Bar, ristoranti, negozi. Il numero di giorni di possibile sfruttamento dell’impianto si decuplica e da trenta passa a trecento, riempiti con qualunque cosa possa venirvi in mente: basket, tennis, concerti, convegni, fiere. Ma gli opuscoli promozionali annoiano molto velocemente, e invece vogliamo sottolineare il lato più affascinante di tutta l’operazione: il più grande club del mondo, come il Madrid si definisce da sempre e com’è giusto che vada considerato, che accetta di mostrare la propria intimità. Oggi chi vuole visitare il Bernabeu, se non becca il lato giusto uscendo dalla metro, può essere costretto a camminare anche un quarto d’ora attorno ai lavori in corso. E nonostante questo i visitatori continuano ad arrivare da tutto il mondo, indifferenti a una struttura interamente paralizzata dai cantieri, agli spalti sventrati dalle escavatrici, al rumore assordante dei martelli pneumatici che coprono la voce di Pavarotti. È come se Penelope Cruz accettasse di mostrarsi in pubblico en deshabillé, struccata e malconcia, perché tanto sa che tra poco diventerà più bella che mai.

 

Foto Ansa
 

Non vogliamo andare oltre con quest’esaltazione, ma ragionare sull’opportunità. Il Real l’ha colta in maniera squillante, trasformando la catastrofe del Covid che ha chiuso gli stadi per un anno e mezzo in un’occasione per accelerare la ristrutturazione. Puoi farlo, se lo stadio è privato: Florentino ha colto la palla al balzo e ha fatto migrare il Real Madrid a Valdebebas. È uno dei presidenti più vincenti della storia del club: sa che la lungaggine è nemica del bene. E nel brutale pragmatismo florentiniano il bene coincide con la vittoria, dentro e fuori il campo. Il naufragio della Superlega è un grande non-detto ma i fatti dimostrano come, tra le tre squadre che si sono esposte di più, il Madrid sia quella che ha assorbito meglio il flop della scorsa primavera, progettandosi un futuro anche tecnico con i vari Vinicius, Rodrygo, Militao, Camavinga, in attesa di Mbappé: le altre due hanno dovuto privarsi di Messi e Ronaldo, e ancora non basta.

Foto Ansa
 

E adesso con un violento stacco di montaggio passiamo a Milano, dove i lavori per il nuovo San Siro procedono con l’agilità di un mammuth anche a fronte di una spesa da 1,2 miliardi interamente a carico dei due club, che genererà 3.500 posti di lavoro e un indotto da 1,7 miliardi secondo le recenti stime di Assolombarda, che ha parlato anche di lavori di riqualificazione del quartiere. Sul fronte opposto dà battaglia il trasversale comitato del No, che oppone ragioni fondate sull’adeguatezza dell’attuale Meazza (che secondo loro andrebbe al massimo ammodernato) e si chiedono se non sarebbe meglio convertire al verde le distese di cemento previste in entrambi i progetti. E poi ovviamente, la questione sentimentale: nessuno di noi sarà mai veramente pronto ad abbandonare o addirittura demolire San Siro, così come i tifosi dell’Atletico non lo erano con il Vicente Calderon, quelli dell’Arsenal con Highbury, quelli del Tottenham con White Hart Lane... Schermaglie che la burocrazia usa come arma per intralciare, più o meno consapevolmente, il corso della storia. L'avvio dei cantieri è stato fissato per il 2024, l'inaugurazione per il 2027 e chissà se si tratta di stime ottimistiche o pessimistiche. L’Italia, anche nella sua forma più europea, com’è senza dubbio Milano, quando parla di futuro lo intende sempre come futuro anteriore.