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Messias è una cosa seria anche per il Milan

Enrico Veronese

In Champions League i rossoneri battono 1-0 l'Atletico Madrid con un gol di testa (nei minuti finali) del brasiliano arrivato all'ultimo e tra lo scetticismo dei tifosi: scopa d’asso, primiera e re bello

Fin troppo facile marciare sopra il nomen omen, il Salvatore della patria, l’uomo della Provvidenza. Ma al proprio destino nessuno gli sfugge: così Walter Junior Messias da Belo Horizonte (la città dell’onta storica Brasile-Germania) a poco meno di trentadue anni ha tratto fuori il Milan da un’eliminazione certa, spalancandogli le porte per l’ultima mano.

Chissà come l’aveva sognata, Messias jr., la prima decisiva in Champions League: Faccia d’Angolo, perché la sua è la faccia che si può incrociare a ogni angolo di città, non aveva cominciato nel migliore dei modi la stagione più ardita della propria carriera. Risapute le sue performance dopolavoriste in Piemonte, tra un condizionatore installato nelle periferie e lo scouting di Ezio Rossi, le stagioni a Crotone l’hanno rivelato non già tecnico cesellatore da calcio a cinque, quanto ribaldo incursore di fascia, dritto per dritto, saltando birilli in accelerata. "Tutto, ma non un giocatore da Milan", avranno pensato i tifosi l’ultimo giorno di mercato, avvezzi ai Donadoni e ai Beckham, ai Rui Costa e ai Kakà. Trequartista mobile? Ala centripeta?

Il religioso Messias era l’ultimo delle gerarchie, già contento a quell’età di dividere pranzo e allenamenti con persone che stanno scrivendo la storia del calcio. In fondo, al Milan del 1989 o del ‘94 (o, perché no, di metà anni Duemila in mano ad Ancelotti) lui - e non solo lui - avrebbe fatto tribuna fissa davanti a tanto talento, peraltro tatticamente ordinato. Aggiungi un infortunio non grave ma fastidioso, la riabilitazione, la squadra che grazie a Pioli sta facendo benissimo, e il colpo di mercato strappato al Toro e al Bologna faceva solo tappezzeria. Ma siccome gli ultimi saranno i primi, l’ascensore sportivo diventa ascensore sociale: il rientro graduale, come da giudizioso dettato del mister. Il minutaggio, nuovo feticcio assieme alla plusvalenza. E al Wanda Metropolitano di Madrid, contro l’Atletico a doppia mandata, Messias è l’arma della disperazione: lui alto 1.74, imbeccato come meglio non avrebbe potuto da Kessie, rinverdisce i fasti di Rui Barros aka Muy Bassos e incorna tra i centraloni castigliani, spedendo la sua squadra alla partita della speranza contro il Liverpool. Le pacche beffarde dei compagni, la gratitudine immensa e tenera del suo allenatore a fine partita lo scuotono solo un po’ dall’incredulità: ha segnato, di testa, in trasferta, il gol decisivo, all’Atletico Madrid, nei minuti terminali. Scopa d’asso, primiera e re bello.

Esultano gli amici a Crotone, quando doveva ancora dimostrare di essere un calciatore professionista. Piangono laggiù i mineiros, collegati satellitari precari: chissà come l’hanno sognato, dribblare da par suo e non invece risolverla di piazzamento. Gongola soprattutto Pioli, che dopo questa dose booster di fiducia e autoconsapevolezza ottiene una nuova arma da sfoderare nel derby finale: adesso, a un mese dal Natale, Messias è una cosa seria anche per il Milan.

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