Foto Fortepan (via Wikimedia Commons) 

Che ci faceva Puskas con la maglia del Signa?

Giacomo Corsetti

Il 17 novembre del 2006 moriva l'attaccante della grande Ungheria che nel gennaio del 1958 si ritrovò in uno sgangherato campo della provincia toscana a riprendere confidenza con il calcio

Il campo è fangoso, piccolo e spelacchiato. Si trova vicino a una piccola stazione ferroviaria di provincia. È il 28 gennaio 1958 e tutto intorno al rettangolo di gioco il pubblico è assiepato. È una semplice amichevole contro la squadra allievi dell’Empoli, eppure l’attesa è grande. Grande almeno quanto quella pancia che si intravede sotto a una delle maglie gialle del Signa 1904. Una forma sgraziata e lenta che però quel giorno rappresenta anche il centro di attrazione generale. Si, perché quella figura così demotivata è di Ferenc Puskas (che morì il 17 novembre 2006), uno dei calciatori più forti e ammirati del mondo. Il capitano della “Squadra d’Oro”, ovvero la Nazionale ungherese capace di battere 6-3 l’Inghilterra a Londra, di vincere l’oro alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952 e sfiorare la Coppa del Mondo del 1954. Ma come ci è arrivato, a 30 anni, un calciatore così a giocare su quel campo di periferia?

Puskas era arrivato in Italia due anni prima. Si era sistemato a Bordighera e il tepore della riviera ligure era riuscito ad alleviare quel senso interiore di smarrimento e dolore dovuto ai fatti della Rivoluzione ungherese. I giorni si erano accumulati inesorabili, così come i chili sulla sua pancia. L'inattività sportiva forzata stava chiedendo il conto. Ma non era colpa sua. 

 

Nell’ottobre del 1956, mentre i carri armati sovietici entravano a Budapest, Ferenc si trovava con la sua Honvéd a Bilbao, per disputare una partita di Coppa dei Campioni. Venuti a sapere quello che stava accadendo, i giocatori decidono di non rientrare in patria, cercando di far espatriare clandestinamente le famiglie in territorio occidentale (Puskas si era ricongiunto con la moglie e la figlia pochi mesi dopo a Milano). Una decisione che la Fifa non aveva gradito. Risultato? Due anni di squalifica dalle competizioni europee. Niente gare e niente allenamenti.

Nonostante questo stop, davanti all'abitazione di Puskas si era creata fin da subito una lunga fila di squadre interessate a mettere sotto contratto. Per via del suo peso (siamo circa 20 chili sopra) erano arrivati anche tanti “no”, come quelli di Juventus e Manchester United. In quel momento Puskas è molto legato a un certo Renato Bonardi. È un dirigente del Signa, ma non solo. È anche un emissario della Fiorentina, un’altra delle squadre che si era interessata a lui. Quella Viola non è una squadra qualsiasi negli anni ‘50. Ha vinto il suo primo scudetto nel 1956 e l’anno seguente è stata sconfitta in finale di Coppa Campioni dal Real Madrid. I tentativi della Viola erano andati a vuoto ma Puskas aveva deciso di giocare una partita per la squadra di Bonardi. Un gesto di riconoscenza per come il dirigente italiano gli era stato vicino in quei momenti così difficili e incerti della sua vita. D’altronde non c'era pericolo che la Fifa controllasse. 

 

E infatti va proprio così. La federazione internazionale non interviene e Puskas si trova ora catapultato in mezzo a quel campo polveroso nella provincia toscana, tra operai, elettricisti e idraulici. La sfida finisce tre a zero per il Signa. Puskas serve due assist giocando praticamente da fermo però non segna. Il portiere avversario gli leva il pallone dall'incrocio dei pali in almeno un paio di occasioni. Quella giornata somiglia tanta a una piccola e simpatica parentesi della sua esistenza, invece è l'inizio di un nuovo capitolo.

Di lì a poco infatti il telefono squilla a casa di Puskas. Il Real Madrid di Santiago Bernabeu lo vuole e lo convoca a Madrid per un periodo di prova. È appena cominciato uno dei feeling più importanti della storia dei Blancos: 242 gol in 262 partite, 5 campionati spagnoli, 1 Coppa di Spagna, 3 Coppe Campioni, 1 Coppa Intercontinentale e 4 titoli di capocannoniere. Una storia la cui prima pagina è stata scritta in quella provincia toscana così rurale e isolata. 

A Signa ancora oggi il ricordo di quel pomeriggio di festa e incredulità è vivo. Dal 2016 infatti (in occasione del decennale dalla sua morte) un campo da calcio porta il nome di Ferenc Puskas, così come un torneo giovanile.

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